Dal suo triste consorte seppellita

Ogni giorno d'ogni mese d'ogni anno
in tutto il mondo
la violenza comanda le azioni
di uomini e nazioni:
sesso, razza, religioni
non mancano occasioni per odiare,
ma dobbiamo ricordare
che siamo libri di sangue.
(Frankie hi-nrg mc)

Il fattaccio descritto in ottava rima da Silvestro Perusini e dato alle stampe nel 1891 sembra tanto lontano nel tempo da sembrare inverosimile, tuttavia la cronaca contemporanea è piena di notizie analoghe: per rendersene conto è bastevole una ricerca veloce in un qualsisia motore di ricerca. La storia proposta narra le vicende di Bettina segregata dal marito Buonomore e dall'amante di lui per quattro anni in una cantina. Quando e come sia successo non lo sappiamo ma il nostro interesse è legato alla narrazione che ne fa il poeta; narrazione cronachistica non esente da giudizi morali i quali, com'è noto, sono sempre presenti nei fattacci.

Lo scheletro vivente

Di una donna chiamata Bettina che visse quattr'anni in un sotterraneo con solo pane ed acqua che le portava il suo traditore marito.

Cantami, o biondo Nume, l'insolenza
Di Buonomore perfido tiranno,
E la lurida sua concupiscenza,
Che fu cagione di cotanto danno.
E della moglie sua la doglia immenza,
Ch'egli contr'essa architettò l'inganno;
Col triste, occulto, amaro suo veleno,
Ch'avea nel cuore sì bollente e pieno.

Avea il volto angelico e sereno
La fida moglie sua, detta Bettina;
Sembrava alla fattura del suo seno
Donna non che terrestre, ma divina.
Ridente il guardo, il suo parlare ameno,
Vermiglia e bianca più che neve alpina;
Che a rimirare il suo benigno viso
Un angelo parea del paradiso!

Non le giovò di aver tutto preciso
Di beltà sovrumana in sua fattura,
Che il suo consorte alfine restò intriso
Nel fango lordo di una donna impura.
Così tra lor l'amor restò reciso,
Che su d'essi piombò la rea sventura;
Svanisce il fumo al sibilo del vento,
Così amor può cambiare in un momento.

Cominciò adoperare il mal talento
Il suo consorte iniquo e traditore,
Dimostrando il suo rio compiacimento
N' un'altra donna, con profano amore.
L'amor del matrimonio restò spento
Mentre ferveva il disonesto errore;
Ma questa druda[1] per non dare indizio
La messe come donna di servizio.

Così seguiva col suo triste vizio
Sfogando ognor con lei le sozze voglie,
Calcando nel sentier del precipizio
Dove del matrimonio il ben si spoglie.
Del sospetto e del giusto suo giudizio
Che avea già fatto l'ingannata moglie,
Ambo li trovò immersi nel peccato;
Ahi mesta vista! oh crudo e tristo fato!

Trasse un sospiro, e quindi senza fiato
Cadde l' afflitta colle guance smorte;
Lasciò la druda allor tutto infiammato
E pien di rabbia il traditor consorte.
Trasse fuor' un pugnale avvelenato,
Alla moglie per dar barbara morte;
Ma frenò il gran furor di sua nequizia
Per non cadere in man della Giustizia.

La cara moglie, novella Artemizia,[2]
Per la delicatezza e l'onestade,
Ch'era nel rimirarla una delizia
Nell'angelica sua rara beltade.
Non giova aver della beltà dovizia
La moglie, e che sia piena di bontade;
Che se l'uomo ha tal vizio di natura
Cade spesso invescato alla lordura.

Or dirò di Bettina la sventura,
Che il suo marito sì nefando e truce
N' una caverna orribile ed oscura
La lega strettamente, e la conduce.
Questa potea chiamarsi sepoltura,
Dove il raggio del Sol giammai riluce,
E così seppellì quella innocente,
Ch'esso del suo dolor pietà non sente.

Poich'essa alfine fu barbaramente
Dal suo triste consorte seppellita,
Ed essi entrambi usavano sovente,
Laidamente nell'oscena vita.
Del suo gioir la misera dolente
Sentiva nel suo cuor doglia infinita,
A quelli drudi scellerati e tristi ...
Ahi dura terra perchè non ti apristi.

Oh cuor crudele, e come tanto ardisti
Tradir colei che ti portava affetto
In matrimonio? E da ch’in lei t’unisti[3]
Sì caramente ti stringeva al petto?
E come, o truce e reo, la seppellisti
Poscia obliasti il coniugal diletto?
Sol tu capace fosti empio, malnato,
Consorte traditor, nefando, ingrato!

Dopo due giorni alfin quello spietato
Aprì di lei la sotterranea porta,
Vide la moglie in sì crudele stato
In terra singhiozzando semi-morta.
Trasse l' afflitta debolmente il fiato,
A lui iplorando con la faccia smorta,
E così disse all'empio suo consorte:
Non farmi più penar, dammi la morte.

Io bramo del morir l'ore più corte
Replicò quell'afflitta sconsolata,
Goder lassù della beata Corte
La vita imperturbabile beata.
Che Dio ti schiuda le celesti porte
Io pregherò quando sarò passata ...
Così diceva allor, versando intanto
Singulti amari, e doloroso pianto.

Alla preghiera commovente tanto
Di quella derelitta, in rea sfortuna
Ch'avrebbe intenerito Radamanto[4]
E l'empia Parca di pietà digiuna.
Ma il consorte che stava a lei d'accanto,
Tutte le furie in sè desta e raduna,
E a lei si volse digrignando i denti,
Sciolse dai labbri questi fieri accenti:

Anzi, per darti più maggior tormenti
Vivere ti farò con poco pane,
Ed acqua poca, per più amari stenti,
Più assai peggior che si governa un cane
Che questi sono i miei desiri ardenti
E qui chiusa starai da sera, a mane;
In questo poco viver che ti avanza
Tralascia ormai d'uscir ogni speranza!

Così le dette allor quella pietanza,
L'empio consorte tristo bigliardiere;[5]
Il solo pan però, non abbastanza,
Ed ancor d'acqua trista un sol bicchiere.
Vivanda di pochissima sostanza
Ch'era poco e cattivo il pasto e il bere,
E così fe' partenza incontanente[5a]
Da quell'avello orribile e fetente.

Così sola restò quella innocente
In atto di pregar rivolta al Cielo,
Sicchè versava ognor dal cuor dolente
Sospir di fuoco e lacrime di gelo.
Era consunto, lacero e languente
Dall'aspre pene già il mortal suo velo,
E il sangue indebolito in ogni vena
Era, chè in piè si sosteneva appena.

Ora ritorno all' empia coppia oscena
A decantar del suo nefando stato,
Che co' suoi scherzi, a pranzo, a cena,
Stavano sempre immersi nel peccato.
Ambo vivevan lieti a pancia piena,
Di vivande e di vino prelibato,
E saziando così l'ingorde brame
Ed essa al soffrimento della fame!

E qualche volta l'empia druda infame
A lei portava il misero alimento,
In terra le mettea quel crudo strame
Come pascer dovesse un vil giumento.[6]
L' afflitta allora all'insidiose trame
Pensava, ed all'occulto tradimento,
E rimembrando nel suo mesto cuore
Le cresceva l' asprissimo dolore.

In quella tomba di tremendo orrore
Immersa nelle pene e gli aspri affanni
Di pane e d'acqua e priva di splendore
Con immenso soffrir visse quattr'anni.
Commosso il Cielo dal suo gran fervore
Su lei rivolse dai celesti scanni[7]
Con sì materno amor gli occhi clementi,
Del suo pianto a cessar gli atri[8] torrenti.

Spesso sentivan le vicine genti
Nel più silenzio della notte oscura
Singulti amari e fievoli lamenti,
Da quella angusta e cieca sepoltura.
Sicchè que' fiochi e dolorosi accenti
Ogni cuor forte empiva di paura,
Ma di quel lagno, in modo di preghiera,
Capir non si potea 'l punto dov'era.

O fu il caso, o fu il Ciel, come si spera
Che una donna chiamata Colombina
Alla finestra stava in prima sera
Ch'era di quella casa più vicina.
Al suono della voce, alla maniera,
Sicura giudicò ch'era Bettina;
Che quei lamenti molte volte intese,
Così cominciò a far noto al paese.

Di amor, di carità tutta si accese,
Dal Sindaco portossi n' un istante;
Si assise accanto ad esso, e fe' palese
Con voce mesta e squallido sembiante;
A lui così asserì, che ben comprese
Di Bettina la voce tremolante,
Che sotterraneamente indi sovente,
Il pianto amaro, e il querelar si sente.

Soggiunse: – sir la misera dolente
Tradita fu dall'empio suo consorte
Per una donna impura, fraudolente,
La quale alfin tentò di darle morte.
Ma il suo marito allor pensò altrimente,
La chiuse stretta in sotterranee porte,
Ed io sentiva lei quando piangea
Che forte ad ambedue pietà chiedea.

Il Sindaco dal seggio ove sedea
Alzossi in piedi e disse: Ah! crudeltade
Se questo è ver, la druda iniqua e rea
Punita alfin sarà senza pietade!
Su l'empio ancor per la divina Astrea[9]
Vendetta si farà con giusta clade.
Così comandò tosto al brigadiere
Che andasse a perquisire il bigliardiere.

Il comandante un sol carabiniere
Portò con esso, per non dar sospetto,
Si presentò commm' hanno di mestiere
I militari con verace aspetto.
Poi disse al tristo con gentil maniere:
Abbi pazienza, perch'io son costretto
E comandato, come è per usanza,
Ch'io debba perquisire ogni tua stanza,

All'empio si frenò la fiera oltranza,
Restò sorpreso, e con tremante cuore,
Al comando di lui cambiò sembianza
Pavido con sì squallido colore.
Alla druda si fece una mancanza,
Cambiò le guancie sue d'altro pallore:
Ma il brigadiere con sì pronto ardire
Cominciò la sua casa a perquisire.

Allorquando gli parve di sentire
Una voce sì fievole, e gemente,
E che dicesse: - Ahi credo di morire
Fra poco ahimè la vita mia si sente!
Ma il brigadiere non potea capire
La voce dove fosse espressamente:
Così tutto anelante e tutto ardito
Volgeva quà e là l'occhio e l'udito.

A quel flebil lamento inaudito
Rivolse il brigadier diretto il passo;
Col cuor tutto dolente intenerito,
Ed avrebbe commosso un cuor di sasso.
Allor conobbe espresso il punto e il sito
Che quel singulto si sentia più al basso;
Così alfine trovò una porticina
Dove sepolta stava indi Bettina.

Allor prese l' indegna concubina,
E di Bettina il traditor consorte,
Poscia lor disse: All'ultima rovina
Vi spinge ormai l' inevitabil sorte;
Questa che sia caciaia, o sia cantina,
Orsù ben tosto apritemi le porte!
Egli chinò la fronte, e riverente
Tremante aprì la porta incontanente.

In quel luogo occultissimo e fetente
Fece andare ambedue que’ tristi avanti,
Dove versato avea quella innocente
Sospiri amari e dolorosi pianti.
Trovò indi Bettina, egra,[10] giacente,
Restaro que' cuor dal duolo affranti;
Poscia che fûro giunti a lei d'accanto,
Ambo pietosi piansero al suo pianto.

Era consunto il suo terrestre ammanto[11]
Dal capo al piè delli sui membri infermi,
Sicchè dell'aspro suo penar cotanto
S'incominciava a far pasto di vermi.
Quindi commossi i militari intanto
Dell' armadura[12] sua si fero inermi;
Per dar soccorso con fervente amore
A lei ch'era già giunta all'ultim'ore.

Da quella tomba che recava orrore
Pietosamente fu diseppellita;
Lieve fu posta allor nel più migliore
Talamo suo a riposar la vita.
Incominciò a riprendere vigore,
Aperse gli occhi, e disse: Oh cielo aita!
Fu data a lei della miglior cucina
Buona vivanda, e poi la medicina!

Caramente ogni fida sua vicina
Portava a lei sì preziosa carne,
Chi un pollastro, un piccion, una gallina
Tordi, pernici, quaglie, merli e starne;
E pezzi di capretto, e di vaccina,
Per la salute alfin profitto trarne,
Quelle donne gentili e sì pietose
Erano tutte intente ed amorose.

Ed ogn'amica intorno a lei si pose,
Per sovvenirle l'animo conquiso,[13]
Così il colore di vermiglie rose
Cominciò a ritornar nel suo bel viso.
Ed essa lieta a tutte corrispose
Con un soave, angelico sorriso,
Ringraziando il Fattor d'ogni fattura[14]
Ch'era per lei finita la sventura.

Ora ritorno all' empia coppia impura,
Ch'egli fu strettamente incatenato,
E collocato in carcere sì oscura
Pel suo triste misfare inusitato.
Ed essa ancor punita a dismisura
A rigor del suo lurido peccato
A soffrir lunghe e dolorose pene,
Cinta ed oppressa da dure catene!

Note

[1] Druda: amante. [2] Artemizia: il riferimento è al matrimonio riparatore di Artemisia Gentileschi. [3] E da ch’in lei t’unisti: da quando la sposasti. [4] Radamanto: secondo la leggenda potente re minoico che portò la legge e la giustizia. È figlio di Zeus e di Europa e fratello di Minosse e Serpedonte. [5] Bigliardiere: gestore di una sala di biliardi. [5a] Incontanente: nell'istante medesimo. [6] Giumento: animale da soma o da tiro. [7] Scranni: scranni, seggi. [8] Atri: luttuosi, orridi. [9] Astrea: dea vergine della purezza e della innocenza. [10] Egra: affranta, angosciata, sofferente. [11] Ammanto: la dignità. [12] Armadura: armatura. [13] Conquiso: conquistato. [14] Fattor d'ogni fattura: Dio cratore.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.