Meglio in capanna star da giovanotto
che in una villa al numero ventotto.
(Vasco Cai)
San Martino di Tour[1] fu un vescovo cattolico nato in Pannonia nel IV secolo la cui devozione è molto diffusa in Europa; a lui sono intitolate mole pievi che si trovano lungo i tragitti di pellegrinaggio per fornire un'indicazione ai pellegrini. La memoria di questo santo viene festeggiata dalla chiesa di Roma il giorno 11 novembre data nella quale si festeggiano, nel sentire popolare, anche i becchi cioè tutti coloro i quali hanno subito un tradimento coniugale. Anche se le manifestazioni legate a questa ricorrenza stanno a mano a mano scemando se ne ritrovano tracce in diverse località italiane e se ne ha sentore nella memoria collettiva della popolazione adulta. A Sant'Arcangelo di Romagna è tradizione appendere delle corna alla porta d'ingresso della città le quali, dice la leggenda, oscillano al passaggio dei traditi, cioè dei becchi, uomini o donne che siano.
Le ipotesi circa l'origine di questa festa sono molte e tutte comunque legate al tradimento e alle corna; James Frazer (1854-1941), autore de il ramo d'oro, padre dell'antropologia e maestro di Bronisław Malinowski , spiegò la festa "dei becchi" (ma lui non la chiamava così!), che ogni anno si tiene l'11 novembre come il residuo di una festività pagana chiamata samuin legata alla fine del capodanno celtico che durava 12 giorni e che terminava con un grande banchetto propiziatorio dove al mangiare e alle abbondanti libagioni, fatte col corno potorio[2], seguivano delle orge che non tenevano conto dei vincoli coniugali.
Secondo Frazer questa festa avrebbe poi dato origine ad Halloween, e all'accostamento del corno al tradimento, da un lato, e alla buona sorte dall'altro perché si trattava comunque di un rito propiziatorio. Può darsi che questa sia l'origine "vera" di questa ricorrenza benché qualcuno pensi che possa essere legata alle fiere del bestiame ovi-bovino che vedevano la lontananza degli uomini dalle case e la possibilità per i coniugi di vaiolare l'obbligo di fedeltà; altri ancora riconducono l'usanza di prendere in giro i becchi alle partenze per la transumanza e al lungo periodo di assenza dai paesi, situazione che avrebbe data una certa libertà di costumi a uomini e donne. L'11 novembre era anche la fine dell'anno agrario e in quel giorno i mezzadri cambiavano di podere, venivano licenziati o confermati: era dunque un giorno molto importante per tante famiglie che dipendevano dalla terra che lavoravano.
Quale che sia l'origine vera della ricorrenza è indubbio che ancora oggi si tenda a prendere in giro i becchi scherzando sulla loro condizione e organizzando ritrovi, cene e vere e proprie cerimonie, come quelle della caccia al cornuto diffuse in diversi paesi europei; nella tradizione popolare il cornuto è una figura molto tartassata e nella pratica del contrasto poetico o prima o poi la si inserisce per la facilità delle battute che riesce a ispirare. La storia che riportiamo di seguito narra appunto di un raduno di becchi contenti è stata composta da Giovacchino Pestelli e pubblicata nel 1891. Si noterà la visione maschilista del matrimonio sulla quale si regge l'ironia della narrazione, l'invito è dunque ad assumere per il tempo della lettura , e solo per quello, una visione maschilista del mondo.
Storia dei mariti becchi contenti
Il di dieci Novembre in sulla sera
Percorrevo le traccie del destino...
Giunto a un boschetto vidi una bandiera,
Subito a questa mi feci vicino
Dove una società di Becchi vi era,
Che facevan tra loro uno spuntino;
Io nascosto mi messi ad ascoltare,
Per intender di quelli il lor trattare.
Appena ebber finito di pranzare
Disse Cirillo: - Io sposai l' Assunta,
Quante carezze mi veniva a fare
Appena al matrimonio essa fu giunta!
Ora d'idee venuta si è a cambiare,
Un corno assoda, un altro poi mi spunta...
Credete, dalla sera alla mattina
Meno non me ne fa d'una dozzina !
Disse Pippo: - Sposai la Nunziatina,
E i primi giorni mi portava amore...
Ma in breve tempo questa birichina
La fece conoscenza col Fattore !
Appresso se la mena alla cantina,
Gli gratta delle rene il pizzicore!...
Quando la ragionò di venir via,
Disse: Devi restare in Fattoria !
Disse Tommaso : - Sposai la Lucia,
Vivevo in pace tranquillo e contento;
Ora ogni tanto la mi fugge via
A spasso per le strade del Convento.
Oh, che disperazione l' è la mia !
Una gran pena nel mio core sento...
Perchè si approva che fra Simeone
Della mia sposa si è fatto padrone !
Io la Rosa sposai, disse Geppone ;
Mi rispettava come vera moglie...
I primi giorni gran consolazione,
Si dava sfogo alle leggiadre voglie;
Ora lei si è cambiata d'opinione,
S'è rivoltata come fan le foglie...
Sempre mi fugge via con questo e quello,
Credete, in capo non mi sta il cappello!
La mia Sandrina, disse Raffaello,
La pareva di zucchero una pasta...
E quando in dito gli messi l'anello,
Quanto Susanna[3] mi pareva casta;
Ma poi gli entrò il pulcino nel cervello,
E dice: - Un uomo solo non mi basta !
La mi fugge via sempre di nascosto,
E non mi vuole star più sottoposto!
Io la Bita sposai, rispose Gosto;
Sui primi giorni l'era bacchettona[4]...
Ora se la s'incontra col Proposto
La si mette a ruzzar, quella cialtrona!
Se qualcuno le passa ivi d'accosto
Lei gli dà l'occhiatina e lo spunzona;
E me mi ha messo al numero ventotto...
Non son padron di farle un pizzicotto!
- Io, per non istar sempre giovinotto
La Teresa sposai, disse Bastiano ;
Mi pareva aver vinto un terno al Lotto...
Ecco il Padrone a conturbar l'arcano!..
Tutti i giorni e' la vuol nel suo salotto
Ed a me mi convien di star lontano ;
Se non acconsentivo a dargli retta,
Lui mi avrebbe mandato la disdetta;
Disse Bistuccio: - Sposai l'Enrichetta,
Avea vent'anni, sette mesi e un giorno...
Fida lei mi parea, casta e perfetta,
Io mi godevo quel visino adorno!
Ed ora è diventata una civetta,
Ed ogni tanto mi fiorisce un corno...
Se venite a veder per le mie scale
Viè sempre gente: chi scende e chi sale!
Vi è la Carlotta mia, disse Pasquale,
Con la scusa di fare il giubbileo,
La si nasconde nel confessionale
Aspettando il Curato, o fra Eliseo.
Per lei la mia parola poco vale;
- Carlotta! l'altro giorno le diceo,
Ragionava con loro a voce piena...
Io la chiamai, la mi rispose appena!
Disse Guido: - Sposai la Maddalena;
Era a servizio in nobile famiglia...
Quando la presi avea la pancia piena
E neppur me ne feci meraviglia ;
Ma ora per il naso lei mi mena,
Quasi a un caprone la mi rassomiglia...
Ho tante corna sopra la mia testa,
S'io ne perdo un milione, e'me ne resta!
- Io, disse Pietro, che sposai l'Ernesta,
Era Servente a Santa Maria Nova ;
La mi pareva una fanciulla onesta,
E i primi giorni la resse la prova.
Ora l'è pien di scabbia e tigna in testa,
Perchè la piglia quello che la trova....
Credete, amici miei, son mezzo matto
Nel pensare alle corna che m'ha fatto!
Disse Cammillo: - La testa mi gratto...
Sposai l'Agnese, serva dei padroni ;
A me pareva un matrimonio esatto,
Dopo tre giorni si messe i calzoni!...
Si sta d'accordo come cane e gatto...
Mi fa corna a milion sopra milioni!
Devo tacere e far da ritirato,
Altrimenti son becco e bastonato!
- La mia Zelinda, disse Affortunato,
La mi pareva una buona fanciulla :
Appena che l'anello gli ebbi dato,
Non fui più buono a comandarle nulla.
Va sempre a spasso per il vicinato,
E da destra e sinistra gira e frulla...
Io con quattro figliuoli a casa resto:
Gurdate un po che aggeggio è questo!...
La Caterina mia, disse Modesto,
Per cinque giorni fu buona figliuola,
Ma quando fummo giunti al giorno sesto,
Andiede a spasso alla campagna sola...
E incontra un giovin col pensiero desto,
Chiama e risponde e resta alla parola,
L'amicizia con questo tira avanti
E poi se n'è acquistati tanti e tanti!...
- Con la Lucrezia mia, rispose Santi,
Nei primi giorni si stava contenti;
Ma or la gioja s'è cambiata in pianti,
Son bastonate i nostri complimenti...
Va sempre in giro in cerca degli amanti
Basta che lei ce n'abbia più di venti...
Anche se piove stanno asciutti, asciutti,
Io son l'ombrello che gli paro tutti!..
Parlò Cirillo, ch'è il più anzian di tutti,
Che gli era il capo di quella congrega:
Voglio il comando mio non si ributti!
Di andare a casa sua ognuno prega...
Badiamo non passar di sotto ai frutti,
Se no le corna ai rami vi si frega !
Qui cessa il parlamento delle corna,
E ognuno a casa sua se ne ritorna !...
Note
[1] Memoria di san Martino, vescovo, nel giorno della sua deposizione: nato da genitori pagani in Pannonia, nel territorio dell’odierna Ungheria, e chiamato al servizio militare in Francia, quando era ancora catecumeno coprì con il suo mantello Cristo stesso celato nelle sembianze di un povero. Ricevuto il battesimo, lasciò le armi e condusse presso Ligugé vita monastica in un cenobio da lui stesso fondato, sotto la guida di sant’Ilario di Poitiers. Ordinato infine sacerdote ed eletto vescovo di Tours, manifestò in sé il modello del buon pastore, fondando altri monasteri e parrocchie nei villaggi, istruendo e riconciliando il clero ed evangelizzando i contadini, finché a Candes fece ritorno al Signore.
[2] Corno potorio. Coerno bovino usato per bere ed entrato nell'uso cerimoniale. Il suo utilizzo non è scomparso del tutto e si realizzano ancora oggi calici rituali a forma di corno.
[3] Fa riferimento biblico alla storia di Susanna che accusata ingiustamente di adulterio per non essersi voluta concedere a due notabili della comunità fu salvata dalla lapidazione dall'intervento divino tramite Daniele che con questo episodio comincia la sua vita pubblica di profeta. L'episodio, conosciuto come Susanna e i Vecchioni è stato soggetto di molte tele pittoriche.
[4] Donna di rigidi costumi, moralista e poco incline ala divertimento.