L’asino di Pipone

Storie da ridere

ra le tante "storie da ridere", da alcuni anche definite lazzi, che circolavano nelle campagne toscane e che venivano imparate a memoria e ri-cantate in varie occasioni, dobbiamo annoverare L'asino di Pipone che può vantare una diffusione paragonabile alla Pia de' Tolomei.
Si tratta di una storiella divertente che narra le peripezie di un povero contadino che portando i capponi al padrone perde la via di casa a causa dell'asino che, oltre che zoppo, è anche buono a niente.
L'autore è Giovacchino Pestelli del quale non si hanno notizie biografiche di sorta.

La storia

Un contadino di verso Castello,
Che pei somari gli era poco accorto,
Comprò per sua sventura un asinello,
Per rimpiazzar un altro ch' era morto,
Pieno di vitaleschi1 gli era quello,
Vecchio, sdentato, con un piede storto…
Tanto i giovani, vecchi, belli e brutti,
Lui con la testa riveriva tutti!

Era Pipone un di quei farabutti,
Che ritrovarne un altro è caso raro,
Avea sempre quel grullo i labbri asciutti,
Tutti i giorni a discorrer col somaro.
─ Non voglio che per terra tu ti butti,
Va' là Marco, la biada ti preparo…
Se volentieri stai sotto la sella,
Ti do la biada e fien di lupinella !

Fu nel Dicembre una mattina bella,
Quando a Firenze volle andar Pipone,
Con ognuno di casa ne favella
Di portare i capponi al suo padrone;
Dopo affibbiata l' ultima tirella,
Prende in mano le guide col bastone,
E si mette a seder sul traversino
Va’là Marco, se nò ti disciplino!

Alla partenza il ciuco fa l'inchino…
Disse Pipi: Di correr non m'importa,
Conosco e compatisco, poverino,
Il tuo difetto della gamba corta;
Se seguiti così tu vai benino,
Prima di mezzodì siamo alla Porta …
Se vai sempre così, stasera a cena,
Un quarto ti darò fra crusca e vena.

Cinquanta passi gli avea fatto appena,
Lì si mette a annusare una pisciata,
E allor Pipone fortemente mena
Sulle spalle del ciuco una legnata.
Eppure la trippaccia tu l'hai piena,
Hai mangiato un corbello d'impagliata!
Il ciuco sempre con il naso lì,
Prima di un quarto d'ora non partì.

Un accidente a chi ti partorì
Ho bell' è visto tu le vuoi le bôtte !
Aveo detto alla Porta a mezzodì,
Non si arriva neppure a mezzanotte.
Sconta dell' altro ciuco che morì…
Dal gran lavoro gli avea l'ossa rotte ;
Ma se la biada gli davo più spesso
Chi sa se sottoterra l' aveo messo.

Io non dico con te di far lo stesso,
Ma peggio sette volte voglio fare ;
Non siei buono per farmi l'interesso,
Accidenti al tuo naso e l'annusare!
Ma non lo vedi, che v'è l'ancipresso2,
Forse la sala mi vuoi far tribbiare ?
Tirati in là, ti venga una saetta,
Eppur la strada non è tanto stretta !

Il somaro alla redine dà retta
Di andar dall'altra parte gl' intendea,
Una ruota calò nella fossetta,
Se non arriva gente, un la rilea3
─ Figlio di un can! Razzaccia maledetta!
Il povero Pipone allor dicea…
Ma quando scaricato avrò i capponi,
Voglio empire il baroccio di bastoni.

Giunto avanti la porta dei Padroni
Il ciuco si fermò, del guazzo vide…
Un accidente a te, Dio mi perdoni !
Scende Pipone, e gli ferma le guide.
Il ciuco con gli orecchi ciondoloni
Alza la testa, gli scoreggia e ride:
Disse Pipone: Un credeo, porca resia,
Di sentir l' ordinotte4 per la via !

Picchia alla porta e gli apre la Maria,
La serva dei padroni un po' vermiglia,
Venga, venga, Pipone! venga via!
Questa gli disse con allegre ciglia…
Padrone, buona sera signoria,
O Pipi come sta la tua famiglia ?
Gli stanno tutti bene! ─ C'ho piacere,
Posa i capponi, e mettiti a sedere.

Prendi il fiasco, Maria, dàgli da bere
Al povero Pipone, gliè sudato!
E lui ringrazia, come gli è dovere,
Appena che il bicchiere ebbe votato!
Padrone, provo molto dispiacere,
Per cagion di quel ciuco che ho comprato, ,
Lei mi ci creda, padrone, addirittura,
Gli è quello che mi manda in sepoltura.

Lo maledico la trista sventura,
Cose che v'è da fare il capo gatto5;
Mi ha fatto bestemmiar fuor di misura,
Gli ho detto: Un accidente a chi t'ha fatto!
Se lei, signor Padrone se ne cura,
Vado alla fiera, e questo lo baratto
Se lo devo tener per tutto l'anno,
Dalle bestemmie l'anima mi danno.

Chi sa quei di famiglia icchè diranno,
Sono partito stamani avanti giorno,
Che abbia perso la strada crederanno,
Vedendo in questa sera non ritorno.
Ai vicinanti ne domanderanno,
Se sono stato visto all'incontorno …
Chissà quanti pensieri hanno formato,
Vedendo in questa sera un son tornato.

Padrone, di partire ho ben pensato,
Mi perdoni s'io manco a' miei doveri :
Disse il padrone: -Vi è un letto spicciato
Se tu vuoi dormir ben volentieri…
Grazie, signor padron, troppo garbato,
Conosco il buon amore e i buon pensieri;
Troppo conosco il suo buon naturale,
Ma la famiglia penserebbe a male!

Scioglie le guide, e sul baroccio sale;
Va'là Marco, va'là, mettimi in giostra
Per veder se le feste di Natale,
Siamo buoni a farle a casa nostra ?
E parte coraggioso l'animale,
Alla partenza di ubbidir dimostra…
Ma quando poi di miglia ha fatto un paio,
Gli si ferma allo scolo d' un acquaio.

Si ferma il ciuco e dorme il barocciaio,
E di notte battean le dodici ore;
Lui si approfitta del momento gaio,
E si leva dal naso il pizzicore.
Di lì passa la ciuca di un merciajo,
Andava più veloce del vapore …
Rizza gli orecchi, e di annusar sospende,
Di voler seguitarla lui pretende.

La spada sfoderò come s' intende,
Benchè sia zoppo, si mette in cammino,
Ma dopo venti passi si distende,
Una stanga tribbiò col traversino.
La forza di rizzarsi non riprende,
Si risveglia dal sonno il contadino ;
Nel mentre che quel fatto gli osservava,
Qualche fiocco di neve incominciava.

Dicendo: ─ Guarda lì, la bestia brava,
A rizzarsi lo spirito gli manca!
E sempre a nevicare continuava,
Che divenne la strada tutta bianca.
E lui sempre col ciuco ragionava …
─ Gli ha la testa più dura di una panca!
E perchè la salute non gli preme,
Fu costretto a morir col ciuco insieme!!

Note

1 Vitaleschi: o vitareschi; bolle e piaghe degli animali. Il termine è squisitamente contadino.
2 Arcipresso = cipresso.
3 Rilea = rileva, nel senso di togliere
4 Ordinotte, l'Ave Maria della Sera; il rintocco delle campane che annuncia il tramonto del sole e la fine del giorno. È legato all'usanza antica di far terminare il giorno al tramonto e non a mezzanotte come avviene oggi. L'usanza ha ancora il suo valore liturgico poiché è possibile, dopo l'or di notte celebrare l'ufficio delle letture del giorno seguente.
5 Capogatto; modo di dire della zona di Firenze per designare chi ha perso il lime della ragione per la rabbia.

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