Berardino Perilli poeta a braccio
a fantasia popolare riconosce innumerevoli folletti che abitano nei boschi, nelle case, nelle stalle e nei granai e che nottetempo escono dalle loro tane girando per boschi e paesi ordendo scherzi e piccoli dispetti. In Toscana li chiamano Linchetto o Buffardello, in Veneto Salvanello, in Sicilia Farfareddu. Come si chiamino queste curiose creature in Abruzzo non lo so, non l'ho mai chiesto, tuttavia salendo i Monti della Laga nei pressi di Campotosto può capitare d'incontrarne uno in carne ed ossa. Un folletto sui generis senza ombra di dubbio: un folletto registrato all'anagrafe come Berardino Perilli poeta e pastore.
Una figura che del folletto ha il sorriso malizioso quanto basta a renderlo immediatamente simpatico, l'ironia pungente, sopratutto verso se stesso e un fisico minuto che mal si addice alla sua levatura poetica. A me piace pensarlo discendente di quei lares familiares che vegliavano le case e i paesi nelle antiche credenze romane. Mi piace l'idea che egli vegli sulla sua Campotosto e sul canto improvvisato con quell'aria sbarazzina che mente spudoratamente sull'età di chi la porta. In fondo l'età dei folletti nessuno la conosce: sono da che il mondo è e saranno finché il mondo sarà. Come i poeti a braccio. Secondo alcune culture appena muore un poeta subito si reincarna e torna al mondo e allora poco importa in quale "involucro" un'antica voce trovi ostello; forse è proprio per questo che Berardino appare come un gigante immenso nel circolo irrequieto dei poeti tanto che Edilio Romanelli nel suo 400 poeti improvvisatori Toscani Laziali Abruzzesi non riesce a scriverne colla sicurezza dimostrata per gli altri 399:
Perilli non portarmelo rancore
le tue capacità non metto in gioco
tutti si può cascare nell'errore
ed io in ispecie ti conobbi poco
posso dire che sei uomo d'onore
il tuo nome è citato in ogni loco:
dove l'appassionato e il competente
ti da un vanto primiero veramente.
Che te se possa porta’ via lo vento
L'ispirazione per questo pensiero su Berardino me l'ha data la recente presentazione del volume Che te se possa portà via lo vento raccolta poetica di Berardino Perilli curata da Giancarlo Palombini.
Un librettino di 80 pagine, pubblicato in proprio, presentato durante il XIV festival regionale di canto a braccio di Borbona da Giancarlo Palombini e da Marcello Patrizi, poeta egli stesso, motore principale di questa raccolta di poesie frutto della memoria di molti passionisti e degli appunti del maestro campotostano trascritti e raccolti da Patrizi.
"Ascoltare" un poeta estemporaneo attraverso le pagine di un libro è sempre un'esperienza particolare specialmente per chi scrive che si è cimentato molte volte con l'autore anche su palchi difficili e importanti. Leggerne i versi figurandosi la voce e i gesti del grande poeta d'Abruzzo restituisce alle parole quell'aura mistica che si assapora solo nel canto improvvisato. Non c'è altra strada per apprezzare i versi di Berardino che condividerli intorno a un tavolino o su un palco. Non c'è paragone tra canto e scrittura. Non c'è paragone tra Perilli e il suo libro. È proprio la sua figura modesta a rendere grande ciò che dice; la sua semplicità a dare contrasto al testo. D'altronde come tutti coloro che valgono Perilli non ha niente da dimostrare; la sua forza esce dalla semplicità e, mi verrebbe da dire, dal nascondimento. Misuratissimo nel gesto, quasi salmodico nel canto è sempre pronto a prendersi gioco di sé.
Lo dimostrano sia le ottave poste in quarta di copertina per presentare il volume sia le terzine dedicate alla moglie per l'anniversario di matrimonio: in entrambi i casi ne dà una versione seria e una faceta: e Berardino è proprio così è serio e faceto è α e ω è recto e verso di una stessa medaglia intrisa di profonda umanità. Chiudo riportando un'ottava dedicata al gallo tratta dalla sua raccolta (pag. 48)
Mirate il gallo che sembiante altero
par l'orgoglio in persona a chi lo vede
non porta l'elmo e par ch'abbia il cimiero
da cavaliere ha gli speroni al piede.
In amore è veloce e battagliero
sapete ben l'arene che possiede:
col suo chicchirichì squillante e gaio
incanta le cretine del pollaio.