La schiera dei poeti si assottiglia
con questa dolorosa migrazione
in terra resta orbata la famiglia
che vive e spera nella tradizione
e se la pace il fato oggi scompiglia
traiam conforto dalla convinzione
che il Paradiso molto si è arricchito
del canto magistrale di Benito
Ci sono persone che lasciano segni profondi nel loro cammino, segni che plasmano e reindirizzano il cammino terreno di altri esseri umani; queste persone sono i maestri che formano senza voler formare e insegnano senza voler insegnare; possiedono una forza interiore che li rende autorevoli nella loro semplicità. Benito Mastacchini era uno di questi maestri che vivendo la sua quotidianità ha lasciato segni profondi che hanno indirizzato e indirizzano tuttavia. Benito era un maestro e un poeta; un poeta modesto nel modo e dirompente nel dire. Dopo 92 lunghissimi anni Il 23 giugno 2021 Benito ha lasciato questa terra lasciandoci qualche ottava e molte tracce nella memoria di coloro che a vario titolo l'hanno incontrato sulla strada della poesia; Mario Spiganti ed Elisabetta Lanfredini hanno accettato di tracciare un ritratto del poeta suveretano, ne riportiamo di seguito i bei contributi. Per quanto ci riguarda trascriviamo un'ottava improvvisata da Mastacchini nel 2010 all'incontro annuale di Ribolla.
Io chiamerò Ribolla capitale
il re di tutta quanta la regione
dove si apprezza il canto naturale
che noi si chiama l'improvvisazione
ringrazio tutto quanto il personale
che tiene in piedi questa tradizione
se non ci fosse questa gente accorta
l'ottava rima sarebbe già morta.
(B. Mastacchini, Ribolla 2010)
di Mario Spiganti
Benito Mastacchini si colloca tra i grandi poeti improvvisatori nati in Maremma nel Novecento. Nel corso della sua attività è stato, oltre che nella amata Ribolla, anche a Cetica, in Casentino. Una presenza ricca di connotazioni simboliche rispetto alla relazione Maremma -Casentino (diceva un vecchio proverbio "Per fare un vero maremmano, omo del Casentino e donna di Scansano").
Questo breve estratto da una mia vecchia registrazione contiene un contrasto tra Oste (Benito Mastacchini) e Ubriaco (Enrico Rustici).
La sua visione si presta a molte considerazioni e vari livelli di lettura.
In primo luogo non sfugge l'assoluta qualità dei due, matura e sottile in Benito, esuberante e sanguigna in Enrico.
L'esordio cantato di Benito descrive in modo sublime uno dei tratti distintivi del contrasto in ottava rima: la raccolta dei biglietti in cui gli spettatori scrivono l'argomento su cui i poeti devono duellare, dividendosi le parti in modo casuale. Argomento estratto è il contrasto tra oste e ubriaco e a Benito tocca il ruolo dell'oste. In questo ruolo assume progressivamente il ruolo del saggio che benignamente ammonisce il giovane intemperante, che invece esalta nel suo canto la virtù del vino che può bere in quantità. Infine si rapporta a lui come Padre a Figlio. Una chiusa bellissima che ci consente di ammirare simbolicamente il passaggio di consegne generazionale tra un grande poeta improvvisatore e un giovane talento molto bravo che proviene da un contesto culturale significativamente diverso da quello in cui è cresciuto formandosi il Mastacchini.
Infine ricordiamo che, con finanziamento della Regione Toscana, nell'ambito del progetto "Porto Franco. Toscana Terra dei Popoli e delle Culture", diretto da Lanfranco Binni, nel 2006 veniva pubblicato dalla Comunità Montana del Casentino, con mia direzione autorale, il cofanetto "Cantar di Poesia" contenente 4 dvd con molte ore di video dedicati alla poesia di improvvisazione, articolate in molti sintetici capitoli.
Questo documento è una sintesi video contenuta in uno dei dvd.
Innumerevoli sono le pubblicazioni sull'ottava rima, di grande rilievo e assoluto valore scientifico e culturale. Con la pubblicazione del cofanetto di dvd pensai ad un contributo che rendesse conto, in modo ragionato e concentrato ma primario, della fisicità espressiva, di quella oralità melodica dei poeti che rende ciascuno di loro unico e irripetibile.
E così era Benito Mastacchini, unico e irripetibile.
A lui credo vada la riconoscenza e l'affetto di quanti lo hanno conosciuto e ammirato
Benito Mastacchini, poeta e artista, maestro di grazia
di Elisabetta Lanfredini
Come fare a tracciare un breve ritratto scritto di Benito Mastacchini? Lui che era allo stesso tempo così piccolo e immenso. Piccolo nella sua semplice vita di paese e immenso in quel talento incredibile da poeta e artista.
Forse parlare di talento non è neanche corretto. Se penso a Benito che improvvisa un’ottava mi pare più una specie di miracolo, un momento magico in cui questo uomo di borgo si collega con un’altra dimensione, quasi sovrumana. Non sarebbe stato d’accordo su cotanto giro di parole e avrebbe detto che lui canta e basta. Eppure io lo vedevo appartenere a quel lignaggio di anime molto speciali, quelle a cui è stata data un sensibilità anche troppo acuta per il luogo e il tempo in cui vivono. Quella sensibilità che manda in crisi gli artisti, che a volte disorienta ma con la quale lui conviveva con semplicità, forse ignorandola e andando avanti a fare ottave per “passione”… così la chiamano in parole semplici quella devastante attrazione verso il sublime.
Certo è che nell’ambiante della poesia a braccio la sua fama lo precedeva e dunque in qualche modo questa qualità così speciale aveva una risonanza anche a livello puramente popolare. Un poeta non è mai amato solo per la rima perfetta, quell’amore di cui godeva da parte della comunità era semmai per la sua poesia così inclusiva, umana, per l’ironia semplice, per il pensiero generoso che volgeva al mondo intero.
La prima volta che lo incontrai fu proprio nel suo nascondiglio fra le rocce di Suvereto, in quel piccolo laboratorio pieno di statue di legno fatte da lui, di piccole raccolte delle sue poesie stampate da questa o quella associazione e una luce che via via si affievoliva, così, come a seguire il naturale andamento del giorno, fino a farci rimanere in un’intima penombra alla fine della nostra chiacchierata-intervista. Ai tempi cercavo materiale per la mia tesi che avesse a che fare con la censura, la strumentalizzazione e la manipolazione dell’ottava rima nella sua storia. Una volta fatta questa richiesta nella zona ribollina, venni subito caricata in macchina verso Suvereto perché documentassi i racconti di Benito. Lui mi accolse con la grazia e con la modestia di chi non è sicuro di aver qualcosa da dire, ma di lì a poco i racconti e le rime cominciarono a fluire indomabili.
Mi parlò con grande trasporto del Maggio durante il fascismo, delle botte che si prendevano i maggerini che venivano beccati a sfidare il divieto e di quelli che inventavano di tutto per cantare lo stesso, clandestinamente; mi recitò poemetti censurati e mi disse di poesie non autorizzate lasciate per decenni in un cassetto. Fu un incontro intenso fatto di storie strabilianti, carte vecchie e ingiallite, mani che gesticolano e rime incantevoli: avevo davanti a me una miniera di vita.
Bastava una piccola preghiera per farlo cominciare a cantare. Qualche anno dopo il primo incontro bastò qualche telefonata per farlo partecipare ad una spedizione di poeti che organizzai per un’evento presso l’Università di Bologna. Lui che si diceva sempre “solo un piccolo vate”, “solo un vecchio” e che divertito e ironico incantò anche un pubblico non proprio avvezzo all’ottava con un sorriso gentile stampato tutto il tempo sulla faccia.
Benito scriveva anche canzoni. Una volta me ne cantò un paio, io le registrai avidamente e le trascrissi. Sono ancora qui appuntate a matita su un pentagramma e ogni tanto mi tornano in testa chissà perché. Una è una triste serenata dedicata alla moglie morta “io guardo il tuo giardino fra il giglio e le viole / ma in quel giardino tu non ci sei più (…) ho piantato un giardino nel mio cuore, con quelle rose che volevi tu”; una parla della guerra “un povero bimbo abbandonato, anche il su’ babbo l’hanno ammazzato / l’hanno ammazzato gli uomini buoni, con gli spezzoni tirati giù”. Me le cantò come se fossi il suo grande pubblico, facendo la musica con la voce fra una strofa e un’altra. Era tutto così vero quello che faceva.
Benito è stato davvero un maestro, uno di quelli antichi che non ti vengono a cercare, che non si sponsorizzano, che non ti vogliono insegnare niente ma che parlano solo con la loro presenza. Dolcissimo poeta della vita, con quella modestia che si rivelava nel gesto della mano che si passava sulla faccia e sulla fronte. Ce ne sono di queste persone in giro per i posti più remoti, alcune come lui vengono in qualche modo riconosciute dalla propria comunità, altre sono ancora più nascoste. Bisogna stare svegli per trovarle perché non hanno desiderio di apparire, proprio come lui, poeta pieno zeppo di vita, maestro nascosto fra le case di pietra.
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