Il terremoto di Firenze del 1895 non è rimasto nella memoria popolare forse perché si è preferito dimenticare l'accaduto. Tuttavia un poeta popolare (così si definisce l'incognito autore delle ottave che riportiamo di seguito) ne ha pubblicata la sua memoria tramite un librettino Salani del 1895 che noi possediamo. Per chi fosse curioso di conoscere la cronaca di quel terremoto, che provocò non pochi danni al patrimonio monumentale della città, può visitare la pagina dell'INGV nella quale se ne parla e può consultare il volume di Elisabetta Cioppi «18 maggio 1895: storia di un terremoto fiorentino» pubblicato dall'Osservatorio Ximeniano nel 1995. Nelle ottave si vedrà citata la località di Lampeggi ma si tratta in realtà della villa medicea di Lappeggi posta nel comune di Bagno a Ripoli.
Terribile terremoto a Firenze e nei paesi circonvicini avvenuto la sera del 18 maggio 1895
A te ricorro, sommo Ente Divino,
Che il mondo a voglia tua regoli e guidi,
Affinchè nel difficile cammino
A un breve canto la mia Musa affidi;
Se gira a tuo piacer Fato e Destino,
Se del bene e del mal fra noi decidi,
Rendi la sorte a me propizia intanto,
Perchè ti possa consacrare un canto.
In questa valle misera di pianto,
Qual pecorella che fuggì il pastore,
Sazio del mondo e del suo vano incanto,
Ritorno a te pentito, o mio Signore ;
E nel tuo nome benedetto e santo,
E fiducioso nel tuo santo amore,
Dirò che la tua gloria e la tua fede
Fuga l'ombra del dubbio a chi non crede.
Oggi il secolo reo, che nulla vede,
Chiama l'opere tue favole e sogni,
E nell'errata via battendo il piede,
Parmi che a male oprar non si vergogni…
Orgie, piaceri ed ozî invoca e chiede,
Di Cristo par la distruzione agogni :
E minaccia d'ingiurie mostruose
Tu, gran Fattor delle create cose.
Mà la tua mano, che le spiagge ombrose
Distruggeva dell'Eden fecondo,
Che i primi nostri padri un giorno pose,
Dopo il peccato, a ramingar pel mondo ;
Quella mano che d' acque tempestose
Sommerse il globo nel tartareo fondo;
Che Sodoma e Gomorra distruggea,
Saprà punire ancor gente sì rea.
Firenze intanto, che dell' Arno è dea,
Cuna gentil di Dante e Donatello,
Madre di quanto l'uman genio crea
Del buono, dell'artistico e del bello;
Mentre l' usata pace si godea,
Nel colmo della notte questo e quello
Pallido e spaventato si fuggia,
Invocando l'aiuto di Maria.
E in quel triste momento si sentìa
Un rombo cupo, un' eco di lamenti,
E la terra ondeggiar, mentre perìa
Edifici, palagi e monumenti;
E correr per le piazze e in ogni via
Un disperato nuvolo di genti,
Che giungendo le braccia in atto pio,
Pregavano, piangendo, il giusto Iddio.
Allor fu visto il più perverso e rio
Schiuder il labbro ad una pia preghiera,
E aver fiducia e credere in quel Dio
Che prima aveva detto che non c'era…
Un confuso rumore, un bisbiglìo
Si diffondea per l'aria umida e nera,
La gran Madre del Cielo supplicando,
Singhiozzando, piangendo e lacrimando.
Io vidi un padre disperato, urlando,
Che tenta tra la folla aprirsi un calle,
La consorte lo segue singhiozzando,
Coi figli in braccio, e parte sulle spalle;
S'alza per tutto un grido miserando,
Nitriscono i cavalli entro le stalle;
Suonano i bronzi in tuono di dolore,
E tutto era un senso di terrore.
Da una parte tu vedi un uom che muore,
Di sotto le macerie a forza tolto,
Molle di sangue, asperso di pallore,
Col marchio della morte impresso in volto;
Altri men fortunato in quel fragore
Fra le rovine rimanea sepolto;
Chi ha franto il capo, chi la mano o il piede,
Chi tutto flagellato aiuto chiede.
Il gastigo di Dio, come si vede,
In molti luoghi a dare il segno venne,
E a Grassina e a Lampeggi un urto diede
Cui l'uno e l'altro luogo mal sostenne…
Qui necessario ricordar si crede
Quanto di triste a quei popoli avvenne;
Prego l'udienza con faccia serena
A dare ascolto alla lugubre scena.
Sta Grassina e Lampeggi in terra amena,
Ivi è grato e piacevole il soggiorno,
Ivi natura la più vaga scena
Mostra nel maggio ai colti campi intorno;
Squallidi ricettacoli di pena
Somiglian questi luoghi da quel giorno
Che la vendetta eterna il braccio stese,
E su loro terribile discese.
Quivi la scossa violenta offese,
Più che altrove, le case e gli abitanti,
Poichè vediamo in questo e in quel paese,
Muraglie, tetti e portici crollanti…
La villa Bossi in tritoli si rese,
Oggi un sepolcro appare ai viandanti,
Ove trovò la più spietata morte
Di Giuseppe Giannelli la consorte.
Perché mentre la donna eroica e forte
Fuggir tentava insieme alla famiglia,
Sentì gridare, in preda all' empia sorte,
Nella prossima camera la figlia ;
Desiando salvarla, apre le porte,
S'accosta al letto e in braccio se la piglia ;
Ma un'altra scossa il movimento traccia,
E madre e figlia orribilmente schiaccia.
Ora, se del buon Dio la gran minaccia
Non risparmia la donna e gl' innocenti,
Pensiam di noi qual mai vendetta faccia,
Peccatori viziosi ed indolenti!
Ritorni in noi la spenta fede, e taccia
Del dubbio le maligne ombre crescenti,
E cessin dagli usati maleficî
Filosofiche menti agitatrici.
Intanto da quaranta altri edifici
Ha in Grassina e Lampeggi smantellati
Il nunzio del gastigo, e più infelici
Son di tal fato vittima restati;
Con dolor dei parenti e degli amici
Hanno alfine i cadaveri trovati
D'Eugenia Pistolesi e Leva Forni,
Nei frantumi sepolte da tre giorni.
Lungo sarebbe il dire in quei dintorni
Quanto fosse il terrore e lo spavento,
Però non giova che a parlar vi torni
Dei feriti che sono e mille e cento;
Ma co' miei versi scabri e disadorni
V'invito tutti quanti al pentimento :
Che solo il pentimento e la preghiera
Può placare una sorte così fiera.
E però quando sull' azzurra sfera
Compare il sole maestoso e biondo,
Guardate, amici, la Natura intiera,
E contemplate quant'è bello il mondo!
E le tremule stelle sulla sera,
E della bianca luna il viso tondo,
Se il caso può, chiedete a questo e a quello,
Organizzare un tempio così bello.
E allor pensate nel vostro cervello,
Che se dal nulla Iddio potè far tutto,
Può con un colpo del suo gran flagello
Far sì che il mondo sia perso e distrutto;
Oppur col più barbarico macello
Di stragi empirlo, di rapine e lutto:
Che a lui mezzi non manca e i più migliori,
Di punir quando voglia i peccatori,
Vi consiglio perciò, cari uditori,
A più non provocar la sua vendetta,
Ma torni a penitenza i vostri cuori,
Che Iddio lo brama e paziente aspetta ;
E consacrate a lui pene, dolori,
Lavoro, amore e ogn'opera diletta :
Così godrete un dì vita più lieta,
Come vi augura un popolar poeta.