A Firenze la parola gobbo richiama alla mente sia i tifosi della Juventus, che vengono appunto soprannominati gobbi, sia il cardo (cynara cardunculus) col quale si possono preparare deliziose pietanze; ma il termine gobbo è molto usato nel linguaggio comune ed entra a far parte di locuzioni come fare un colo gobbo, cioè mettere a punto un colpo rischioso per guadagnare una refurtiva molto preziosa, o come tirare un colpo gobbo, cioè un colpo repentino con lo scopo di dolere fortemente alla vittima. Nel linguaggio popolare della Toscana, specialmente in ambito mezzadrile, venivano appellati gobbi i ladri che di notte giravano per i poderi cercando di rubare polli, granaglie, frutti e ortaggi. Tuttavia la figura del gobbo, cioè del cifotico, quando ancora era costume stigmatizzare "i deformi", entrava sovente nell'immaginario popolare e nel contrasto poetico; si assisteva così al contrasto tra il gobbo, il nano e lo storpio; la donna bella e il gobbo innamorato; eccetera eccetera. Non è un caso che siano gobbi anche Quasimodo, il famoso campanaro parigino, e Rigoletto, personaggio melodrammatico d verdiana memoria, che rappresentano personaggi moralmente discutibili ma vittime degli sberleffi e dell'indifferenza altrui.
Di gobbi si occupa anche Antonio Rulli che nel 1891 dà alle stampe la storia che proponiamo la quale ha per protagonisti dei gobbi fiorentini che si trasformano, loro malgrado, in protagonisti di una burla papale.
Sul Millecinquecentoventisei,
Il ventisei secol Decimo sesto
Io vi scrivo questi versi miei:
Per guida un satirico pretesto,
Che ho trovato io su i libri miei;
Se poi ciò non è ver sarà mio gesto,
Il qual non scrivo già per gloria mia,
Ma solo per tenervi in allegria.
Necessario sarà ch'io dica pria
Quel dì ch'a molti si bucò la pancia!
Dico: sotto le mura di Pavia
Combattean Carlo Quinto e 'l Re di Francia.[1]
Il primo favorì la sorte ria,
Al secondo fu rotto spada e lancia;
L'anno dopo seguì quel maledetto
Sacco di Roma; almen Giotti l'ha detto.
In quell'epoca regnava quell' abietto
Alessandro[2] per Duca di Fiorenza;
De' Medici bastardo e poi fu eletto
Dal Settimo Clemente[3] a tal reggenza.
Quest'ultimo un giorno per diletto
Volle fare da Roma un po' d'assenza;
Venne a Firenze da quel suo nipote
E pigliarsi vaghezza quanto puote.
A pranzo un dì fra intingoli e carote
Gli fûr portati un bel piatto di gobbi
(Dell'orto inteso ben, chi prender puote
I gobbi d'orto per uomini gobbi)
Se gli piacquer lo dico in queste note,
Dimenticò S. Pietro e S. Zanobi:
Sino il piatto leccò senza parlare,
Poi al Duca ei prese a dimandare:
Dimmi nipote mio, ove trovare
Hai tu potuto cibo sì eccellente,
Che così ben mi ha fatto ristorare?
Come si chiama? Vuo' tenerlo a mente.
Il Duca allor, così prese a parlare:
- È un cibo ciò della città ridente…
E se ti piaccion questi bocconcini,
Sappi che sono gobbi fiorentini.
-Dunque se qualche volta i miei vicini
Volessi invitar meco a desinare,
Di più i cardinali cittadini,
Una dozzina me gli dèi mandare.
Gli voglio far mangiare i tuoi gobbini,
E credo onore gli vorranno fare.
Rispose il Duca allora:- Buoni e belli
Io te li mando, e non que' scartarelli.
Si parte il Papa e torna a' suoi Castelli,
Finchè un giorno su nel Vaticano
Far si dovea un convito de' belli,
Del più gentile popolo Romano.
Il Papa che pensò pei gobbarelli
Quindici dì prìa scrisse al Sovrano,
Che più di venti gobbi gli mandasse
De' più belli e gobbuti che trovasse!
Che poi la ricompensa s'aspettasse
Benedizione o pur qualche indulgenza…
E di spedirli presto anco pensasse
Perchè era per lui cosa d'urgenza.
Il Duca ordinò che si trovasse
Dei più gobbuti uomin di Fiorenza…
Ben presto furon trovi e poi portati
Dal Duca loro che gli avea chiamati.
Or dunque in questa schiera di gobbati
Credo nascesse un po' di confusione,
Perchè pareano fosser caricati
Di quel grand'uscio che portò Sansone.
Sembrando con que'colli ritirati
Che portassero in groppa un gran popone!
Chi la gran cassa, chi una zucca addosso
Sicchè ridevan tutti a più non posso…
Allora il Duca verso lor fu mosso,
E con autorità grave e regale,
Ordinò che ciascun si fosse mosso
Per andar verso la città eternale.
A qualcuno saltò sospetto addosso,
Ma poi veduta la Bolla Papale
Furon convinti, e persuasi appieno,
Ed a Roma n'andorno in un baleno.
Appena giunti nel roman terreno,
Cominciarono a fare un gran baccano,
Perchè que' cittadin che gli vedìeno[4]
Si scanascian[5] vedendo il gruppo strano.
Bestemmiano i gobbi, e mal tacìeno
Mentre s' avvian tutti al Vaticano…
Mostrorno il foglio che il Duca lor diede,
Cosa il Papa vuol da loro uno richiede.
Veloce il servitore se n'andiede,
E l'ambasciata al Papa riferiva,
E quindi che vuol fare a lui richiede
Dei gobbi che il Duca gli spediva.
Il Papa, che d'avere i gobbi crede
Per mangiare, di questo ne gioiva…
Rispose à lui: - Mettili in cantina,
Bagnandoli a una fonte più vicina.
Un corbello d'arena[6] sopraffina
Gettali addosso, per mantenerli freschi!
A questo detto il servitor s'inchina,
E bacia i sacri piedi principeschi.
Poi della scala riprese la china
E ritrovati quivi i sor franceschi,
Gli prese tutti e gli menò alla fonte,
Ed acqua a cantinelle sulla fronte!
Tiran resie[7] i gobbi, e quasi pronte
Avean le mani, e contro lui voltarsi;
Ma vedon di S. Angelo sul ponte,
La fida guardia Svizzera inoltrarsi.
Cercano allora asciugarsi la fronte,
Bestemmiano e non possono chetarsi
Alla cantina poi furon portati,
E coll'arena bene rincalzati.
Risuona la cantina di Sagrati....
Moccoli doppi, piccoli e mezzani.
Accidential Duca che gli avea mandati…
Maledicono il Papa ed i romani.
Da tutti quelli ch'erano ascoltati,
Io credo, quei non fosser punto umani;
Che di quei gobbi beffe si facevano,
Del loro male star se ne ridevano.
I poveri gobbetti allor facevano
Mille stravagantissimi commenti…
Alcuno bestemmiava, altri tacevano,
Perchè la bile gli serrava i denti!
Poi ve n'erano alcuni che dicevano:
A chi n'ha colpa dia mille accidenti!
Se ciò sapevo, un ci venivo io,
Perchè costor ci ammazzano, per mio!
Io lascio i gobbi in questo stato rio,
E dico a voi s' avvicinò la festa;
Perciò il Papa non lasciò in oblio
Tutti que' gobbi con quella tempesta,
Chiamò un servitore detto Lio
E dicea lui: – La tua faccenda è questa:
Coci que' gobbi lessi e in bastardella[8],
E qualcheduno friggine in padella!
Si parte allor quell'anima rubella,
Di nome è Pio e d'opere un ateo…
E preso tutti i gobbi per la pelle,
Gli strapazzò di più che non credeo.
Giunti in cucina, ed oh! benigna stella!
Passò il Papa con il suo corteo…
E veduto quei gobbi smisurati
Di tutti strani eventi ha dimandati.
Ciò saputo in libertà furon lasciati,
Se no moriano chi fritto, chi lesso,
Sicchè que' poveracci disgraziati
Sarian mangiati insin dal Papa stesso.
Furon pertanto un poco confortati,
Se poi non sarà vero i fregi intesso
E per levar dal cor la gran passione,
Ricevetter la Papal benedizione.
Ma in questo mentre un grosso gobbone
Percosse un altro gobbo e il capo abbassa
L'altro sdegnato all'indecent'azione
Co’una gobbata il naso li fracassa.
S'intromiser nel mezzo le persone,
Finchè placato ognun quell'altro lassa:
In breve tempo la fatal tragedia
Si convertì in brillantissima commedia!
[1] Battaglia di Pavia; 25 febbraio 1525 nella quale si confrontarono Francesco I re di Francia e Carlo V d'Asburgo Sacro Romano Imperatore. La battaglia fa parte della guerra d'Italia 1521-1526.
[2] Alessandro de'Medici, detto il Moro (1510 - 1537). Riconosciuto come figlio illegittimo di Lorenzo II de' Medici pare che fosse in realtà, e il Ralli lo riporta nelle sue ottave, il figlio di Papa Clemente VII.
[3] Clemente VII al secolo Giulio Zanobi de'Medici (1478-1534) fu eletto papa nel 1523.
[4] Vedevano
[5] Tacevano
[6] Rena
[7] Resie, sagrati, moccoli tutti sinonimi per bestemmie.
[8] Basso e largo tegame di terracotta o rame.