Era un andare e venir continuo ed in folla, un ritornar di bel nuovo a bearsi di quella cara vista, a riesultar nella gioia dell'ottenuta salvezza , e quasi a prova d'assicurarsi che la letizia degli animi era finalmente realtà, non sogno d'immaginazione o inganno de' sensi. E frattanto di Maria pensava ogni mente, per Maria batteva ogni cuore, a Maria inneggiava ogni lingua, ed in Maria levavasi d'ogni parte un cantico di benedizione all'Eterno pel consolante prodigio.
(La Madonna del conforto, discorso detto nella solenne ricorrenza del 15 febbraio 1870 da Gabriello Vegni, Tipografia Bellotti, Arezzo 1870 )
rezzo è sempre stata una città molto legata alle proprie tradizioni; anche quelle religiose come la ricorrenza della Madonna del Conforto, protettrice (ma non patrona!) della città, che cade ogni anno il 15 febbraio. La devozione degli aretini verso l'immaginetta della Madonna di Provenzano che "si mutò da nera qual era in bianca, risplendente e bella". Il fatto accadde il 15 febbraio 1796 nell'ospizio gestito dai monaci camaldolesi e che oggi ospita il convento delle monache domenicane.
La città di Arezzo nel carnevale di quell'anno fu battuta da violenti terremoti e da "lampi" come li definirono le cronache dell'epoca; oggi sappiamo che quei lampi altro non erano che ► luci telluriche cioè fenomeni simili alle aurore boreali che si verificano durante i terremoti. Gli aretini in preda all'ansia e all'incertezza sospesero le feste carnascialesche e cominciarono a raccomandarsi a Dio con preghiere, penitenze e processioni. Nella cantina dello Spedale Camaldolese tre ciabattini Giuseppe Brandini, Antonio Scarpini e Antonio Tanti e l'ostessa Domitilla Bianchini accesero un lume all'immagine della madonna di Provenzano murata sopra la cucina. Questa immagine si narra che fosse lorda per i fumi e per i grassi sprigionati dalla cottura dei cibi ma che in quella occasione, mercé le preghiere dei tre fedeli, tornasse bianca e splendente come appena fatta e tale rimase così come la si può ancora vedere nella cattedrale di Arezzo. Qualcuno sostiene che la cantina fosse illuminata a giorno dall'evento miracoloso. Il vescovo dell'epoca Niccolò Marcacci istituì velocemente un processo diocesano per appurare i fatti e una volta stabilità la prodigiosità dell'evento ordinò il trasferimento dell'immagine nella cattedrale dove il popolo eresse una cappella che oggi è il santuario mariano di tutta la diocesi di Arezzo. Il capitolo di San Pietro concesse di incoronare la madonna del conforto; quello dell'incoronazione era un privilegio concesso alle immagini particolarmente importanti e venerate; l'incoronazione avvenne il 15 agosto 1814.
Il poeta popolare Giovanni Fantoni (1828 - 1911), l'autore della storia di Gnicche, diede alle stampe una composizione in ottave dedicata alla madonna di Arezzo e composta, presumibilmente, dopo il 1896 poiché si racconta nelle ottave dei festeggiamenti per il centenario dell'evento. La versione è tratta dal libro "Le belle storie aretine di Giovanni Fantoni" di Enzo Gradassi, pubblicato nel 1995 da Protagonisti Editori Toscani e Biblioteca Città di Arezzo.
La storia di Giovanni Fantoni
O Padreterno Iddio bontà infinita
prostrato in forma di Gesù nell'orto
datemi aiuto a fare una sortita
e così voi Madonna del Conforto
la gente l'attirate a calamita;
fate che la mia nave giunga in porto
colli pianure coste ed Appennini
a compire un tesoro agli aretini
Camminan tanti tanti pellegrini
con la bandiera il dono e la ghirlanda
e più grato è veder tanti angiolini
con la spada a cavallo a suon di banda;
livornesi pisani e fiorentini
con molta fede in cuore li comanda:
è pieno il Duomo i borghi ed ogni via
con ricchi doni a salutar Maria.
Vedo corre nel labbro la bugia
c'e chi dice «non c'e più religione»:
non si vedrebbe già tanta follia
con tanto zelo a recitar corone![1]
Chi va in Pieve chi in Duomo chi in Badia
si riconcilia e fa la comunione;
tornan di nuovo a visitar l'ancella
e penitenza fanno alla cappella.
Domitilla Bianchini in una cella
questa fanciulla fu cent'anni or sono
mentre che la città scuote e flagella
la devota a Maria chiede il perdono;
Da scura e antica si fe' bianca e bella
cessò il baleno, il terremoto e il tono
perché delle regine la regina
fece questo miracolo in cantina.
Per tutta la diocesi aretina
fe' Niccolò Marcacci un'adunanza[2]
che sia nella bottega oppur cantina
quindi fecero già testimonianza:
Nel dir santa Maria Salve Regina
il quadro illuminò tutta la stanza!
Il Vescovado stupefatto resta
quindi si fa in quel di perpetua festa.
A farla una cappella ognun si presta
poveri e ricchi a lavorar per nulla[3]
e qualunque signora o dama onesta
tanto sia vecchia o giovine fanciulla.
Il vescovo lavora il dì di festa
salvo soltanto i bimbi nella culla.
Finita la cappella di innalzare
fu portata Maria sopra l'altare[4].
Al Centenario si vede arrivare
Valdarno, Casentino e Valdichiana
come dei fiumi che corrono al mare
Roma, Firenze e tutta la Toscana
con lumi, canti e suoni ad esaltare
la religion cattolica e romana.
Tante cure provviste in oro e argento
passan di là dal numero ottocento.
Dei pellegrini non cessò un momento
ottanta giorni senza staccar fila
non vi è tanti soldati al reggimento,
fatto è il bilancio di trecentomila!
Maria scaccia il demonio ogni momento
per i devoti suoi la spada sfila:
per diventar del Paradiso eredi
il demonio ci ha messo sotto i piedi.
O popolo aretino hai visto e vedi
quei personaggi dal piccolo al grande:
fai ben se la ragione a me non cedi
soltanto nell'udir duecento bande.
Madonna del Conforto a noi provvedi
per tutto il mondo il nome tuo si spande
ripetendo la donna e l'uomo accorto:
«evviva la Madonna del Conforto».
Non abusiamo il diavol non è morto
si trova alla prigione e all'ospedale
e alla Madonna gli fa l'occhio torto
perché di noi fu madre universale.
So che presto anche io giungerò al porto
signori se m'avvio per quelle scale:
lassù vi aspetto tutti una brancata
son Giovanni Fantoni di Quarata.
La lauda popolare
La Lauda popolare Bianca Regina Fulgida fu composta da Monsignor Francesco Coradini (1881 - 1972) nel 1931 ed è ancora oggi molto conosciuta in tutta la diocesi aretina.
Bianca regina fulgida
stella del vasto mare,
come dura ci appare
la nostra via quaggiù!
Ma il tuo sorriso, o Vergine
è a noi conforto e vita,
e l’anima smarrita
ritorna al tuo Gesù.
In un giorno di lacrime,
nella taverna oscura,
bella la tua figura,
come il sole splendè.
Allor questo tuo popolo
ti chiamò suo ‘Conforto’:
dal dolore risorto
alla gioia per te.
Se in ciel nembi si addensano
e se la terra trema,
ancora senza tema
fidiamo in tua bontà.
Per te, se ostile esercito
calpesta il nostro suolo
Vergine è un grido solo:
vittoria e libertà.
Ormai, fra noi, da secoli,
chi lotta e chi dolora,
in te dolce, Signora,
la pace sua trovò.
Onde, dai bei palagii
e l’umili sue stanze,
i voti e le speranze
Arezzo a Te sacrò.
Ancora, i nostri pargoli,
pegno dell’avvenire,
veniamo a benedire,
o Vergine, al tuo piè.
E tutti i nostri cantici
e tutti i nostri fiori
e tutti i nostri amori,
o Madre, son per te!
Note
[1] Cioè a dire: a recitar rosari.
[2] Il riferimento è al processo diocesano per il riconoscimento del prodigio.
[3] Senza ricevere compenso.
[4] Il riferimento è alla cappella della madonna del conforto, attigua al fonte battesimale della cattedrale aretina. L'effige miracolosa è stata posta ed è tuttavia custodita sull'altare maggiore della cappella.
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