imettendo a posto un vecchio scartafaccio ho ritrovato il manoscritto di Donato Lucherini nel quale egli racconta in tredici ottave la sua breve esperienza di prigioniero dei tedeschi nel giugno del 1943. Purtroppo non so dare notizie sull'autore del testo né sulla data di composizione anche se si deduce dalla lettura che sia stato scritto prima della fine della guerra e che tutto sia successo nella zona di Ponte Buriano, frazione di Arezzo. Questo dimostra ancora una volta come l'ottava rima, e la poesia in generale, siano state considerate il migliore veicolo di trasmissione per quanto riguardava la memoria di fatti particolarmente importanti per chi scriveva e per la comunità; scrivere una "storia", e quindi scrivere di sé, significava cristallizzare un ricordo e "confezionarlo" per l'utilizzo collettivo. Sui processi della formazione della memoria gioverebbe davvero scrivere un articolo a cominciare dal pensiero di Maurice Halbwachs e dai suoi "quadri sociali della memoria" che molto hanno a che vedere con la poesia "epica" popolare: lo faremo. Piano piano.
I prigionieri della carbonaia
(Povera, breve storia in ottava rima)
1
Andammo a passeggiare una mattina
tranquillamente al Ponte Buriano
per fare a casa una capatina
e per vedere i danni che ci fano
questa gente che tutto ci rovina
e nel rubare lesta hanno la mano,
ma ritornando in su allegri e freschi
s’inciampò in un branco di tedeschi.
2
Questi certo sono un po’ maneschi
li vogliono vedere i documenti
noi si pensava: “ora si sta freschi
senti che vento che tira a momenti”
Così sulla “machine” questi tedeschi
ci fan salire senza complimenti
Io e Giorgio credevamo d’esser soli
mentre che fan salire anche il Cacioli.
3
Povere mamme e poveri figlioli!
Guarda che facce ste brutte persone
certo son più indigesti dei fagioli.
Presto la fanno lor la conclusione.
Non c’è uno che un poco ci consoli
in questa disperata situazione.
Ci schiaffano inchiodati in carbonaia
senza veder né cuoco né massaia.
4
Del carbone lì dentro ce n’è a staia
nostre parole son purtroppo vane
tanto perché star bene non ci paia
dalla finestra entra un pezzo di pane.
E mentre qualchedun di loro abbaia
con una voce tal che pare un cane
per due o tre giorni non si può mangiare
ché quel panaccio non si può ingollare.
5
Allora ci si mette lì a pregare
il buon Dio che dal cielo tutto vede
che a casa nostra ci faccia tornare
e si pregava proprio con la fede.
Ed incominciavamo già a sperare
perché ciascun di noi in Dio ci crede
ma si rivide capitan leone
e ci ripiglia la disperazione.
6
Dalle sbarre dell’umida prigione
si vede un ragazzin di lì passare
un po’ lontano dalle altre persone
che si vedevan per la strada andare.
Scrivo un biglietto e lo mando in missione
dal prete se ci manda da mangiare
passa e ripassa ancora molta gente
ma da mangiare non si vede niente.
7
Intanto qualchedun parlar si sente
e si vede venire lì un barbiere
che viene a far la barba a questa gente
come gl’insegna il suo bravo mestiere.
Noi si chiama alla sbarra dell’ambiente
ove s’era dormito due o tre sere.
A parlare con noi sta un poco appena
promette di mandarci almen la cena.
8
Ci s’era indolenzita anche la schiena
per quel dormire sempre sul carbone
s’aveva un muso tal da fare pena
dopo tre o quattro giorni di prigione.
La stanza che di sudicio era piena
ci rinforzava la disperazione,
ma il Cacioli che non sapea parlare
sperava presto a casa ritornare.
9
Una donna ci porta da mangiare
e dentro nuovamente ci rinserra.
(Era una broda da non si strozzare)
ma se la ritroviamo dopo guerra
a bastonate la vogliam ficcare
perlomeno due metri sotto terra.
Sarà grosso il baston naturalmente
anche se del mal fatto se ne pente.
10
Intanto qualchedun chiamar si sente
si vede una graziosa signorina
che molto generosa, gentilmente
ci porta pane bianco e finocchina.
Noi affamati ci s’aguzza i denti
e dopo si fa una chiacchieratina
si pensa senza fare tanta smania
che a lavorar ci portano in Germania.
11
“Ci siamo messi in una bella pania”
Si diceva così fra noi parlando
e l’acqua ce la danno in una stania
dove noi si va a ber di quando in quando.
Il pranzo fa venire l’emicrania
e dentro il nostro stato miserando
i bisogni si fan nella paletta
non passa dalla buca perché è stretta.
12
Di liberarci certo ‘un avea feretta
quel brutto muso che ci portò via
e mentre che lì dentro noi s’aspetta
si pensa di fuggir da quella stia.
Per uscir fuori da quell’aria infetta
con un pal la finestra salta via
ma quando s’era lì per iscappare
ecco un cieco ci viene a disarmare.
13
Le nostre donne si vede arrivare
ci si domanda chi ce l’ha portate
venivano a portarci da mangiare
ed eran veramente disperate.
Van dal dottor, si cominciò a sperare
dopo quelle terribili giornate.
Finalmente ci s’apre la prigione
oh Dio che gioia e che consolazione.
Donato Lucherini
(prigioniero dei tedeschi dal 21 al 26 giugno 1943 insieme a Federico Zurli e Domenico Cacioli)
Il manoscritto di Lucherini.