Fior di giaggiolo …
È sempre bello viaggiare per la bella campagna Toscana. Questo bel paesaggio lo ereditiamo dall’antica civiltà contadina, che ha plasmato e piegato ai bisogni dell’uomo il territorio e lo ha reso ineguagliabile e conosciuto in tutto il mondo. Fino a non molti anni fa oltre alle viti e all’olivo, al grano e alle distese di castagneti e frutteti, avremmo potuto vedere, tra maggio e giugno, nei terreni più sassosi e meno acconci alla coltivazione, (i sodi) una grande distesa di fiori blu e argenti e blu: i giaggioli.
Questo fiore era conosciuto fin dall’antichità; ne hanno parlato personaggi come Ippocrate (il primo medico), Teofrasto (scolarca di Aritsotele che assunse la direzione del Liceo alla morte del maestro) e Galeno (medico greco dal cui nome deriva la galenica che è l’arte di preparare i farmaci). Il nome scientifico è Iris e ne esistono almeno 700 specie diffuse in tutto il mondo. Il volgarissimo nome giaggiolo pare che derivi da ghiacciolo nome col quale il popolo toscano chiamava l’Iris Fiorentina per via dei suoi fiori pallidi come il ghiaccio. Da ghiacciolo a giaggiolo il passo è breve … e poi è un nome molto funzionale alla grande passione dei toscani per gli stornelli: ve l’immaginate uno stornello che principia con “Fiore di Iris”? Fateci la rima se potete!
invece con giaggiolo lo stornello è sbarcato prepotentemente nell’opera italiana grazie ai due librettisti di Cavalleria Rusticana:
Fior di giaggiolo
gli angeli belli stanno a mille in cielo
ma belli come voi ce n’è uno solo
La radice del giaggiolo, detta gallozola, veniva data ai bambini in procinto di mettere i denti affinché la masticassero sfruttandone le proprietà antidolorifico.
Salita al Poggio Citerna
Il giaggiolo è stata la nostra entratura nella memoria di Poggio alla Croce paese di non poca storia posto a cavallo tra il Chianti e il Valdarno.
La coltivazione di questo fiore o meglio del suo rizoma è stato il reddito “sicuro” per tutti i poggesi che alle consuete risorse dell’alta collina hanno potuto contare su questo “rinforzino” che, se non li ha fatti ricchi, ha dato loro quella sicurezza economica che nello stesso periodo in altri paesi non c’era.
Abbiamo “narrato” l’arte del giaggiolo salendo, sotto l’attenta guida di Oliviero Buccianti, fino alla croce del Poggio Citerna dal quale si domina il paese sottostante ma sopratutto si vedono lontane, quando la foschia lo permette, Arezzo e Firenze.
Siamo partiti da piazza del giaggiolo, per parlare di fiori, di tradizione e di poesia improvvisata, delle feste e dei balli che si facevano a Poggio alla Croce. Storie di una volta, storie di paese che son tornate con la nostra passeggiata racconto ai tanti compagni di questo viaggio notturno.
Una sonata antica di Marcaccio, il nostro suonatore indistruttibile, ha dato l’abbrivio all’affannante ascesa e poi le leggende sul giaggiolo, e a mezza costa i poeti estemporanei Marco Betti e Alessio Magnolfi che hanno riportato ai poggesi la poesia. Sulla vetta del poggio ancora musica e ancora storie e infine Paola Bertoncini la nostra narratrice di comunità che ha saputo reagalare ai viandanti un altro intenso momento di memoria. E infine eccoci nuovamente al punto di partenza per gustare una fetta di cocomero e ballare un po’.
Le interviste
Non avremmo fatto niente se gli abitanti di Poggio alla Croce non avessero aperte le loro case e i loro ricordi. Ecco dei brevissimi stralci del materiale raccolto.
«Il giaggiolo è stato il nostro pane: quanto ho pianto mentre mia nonna mi chiamava alle 3 di notte. A quell’epoca s’andava nei campi a quell’ora. Il mio babbo e il mio zio andavano alle 2 perché la raccolta del Giaggiolo è un po’ particolare. Loro lo buttavano fuori con la zappa poi la mia zia e la mia mamma lo spiantavano perché il giaggiolo ha un bulbo.
Con le balle sulla schiena si portava a casa e si metteva in delle vasche grosse con la buccia e tutto e con le granate di scopa
si buttava via quello che si poteva.
Il giaggiolo di 3 anni veniva tutto affettato, quello di due, noi si diceva che va in succhio, invece si mondava e poi veniva messo in dei cannicci a seccare. Infatti se venivano le genti di fuori quello affettato pensavano che fossero funghi. La raccolta principiava a fine giugno e durava fino a tutto agosto. Nella nostra via si facevano anche 20 quintali di giaggiolo secco poi alla fine di settembre si rimettevano le piante e l’anno dopo veniva sarchiato e lasciato lì e a 2 anni veniva rifatto il raccolto.» (Piera)
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«Si andava in Citerna a fare ruzzolino con l’uovo Benedetto di pasqua. Si assodava quest’uovo, poi si pitturava tutto e poi si faceva ruzzolare giù per il poggio.
Per l’ascensione era una cosa spontanea delle famiglie ritrovarci su questo poggio.» (Ivana)
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«Venivano (i poeti n.d.a.) sempre da Montevarchi o da Firenze: c’era il Piccardi, il Ceccherini c’è venuto poche volte e poi veniva un’altro Altamante Logli mi pare.
Venivano sempre quando c’era la fiera. Io li riascolterei volentieri i poeti .
Nelle case si ballava e si ballava anche al circolo: tanghi, valzeri, mazurke e poi anche le quadriglie. C’era Umberto di Ennio che comandava la quadriglia perché nella quadriglia c’è uno che comanda.» (Ivan e Realdo)
Altre storie
Altre storie ci sarebbero da raccontare (e un giorno le racconteremo!) e conoscere su questo gruppo di case al limitar del Chianti e sui suoi infaticabili abitanti che hanno permesso col loro lavoro e con l’apporto della locale Società di Mutuo Soccorso, la realizzazione di questa bellissima passeggiata.
E rammentatevi sempre che il giglio di Firenze non è un giglio. È un giaggiolo!
Le foto che seguono sono state prese dalla pagina Facebook di Poggio alla Croce.