Non abusiamo il diavol non è morto
si trova alla prigione e all'ospedale
e alla Madonna gli fa l'occhio torto
perché di noi fu madre universale.
So che presto anche io giungerò al porto
signori se m'avvio per quelle scale:
lassù vi aspetto tutti una brancata
son Giovanni Fantoni di Quarata.
(da ► Storia della Madonna del Conforto)
Ci sono poche fonti che ci permettono di tracciare un profilo biografico di Giovanni Fantoni: le prime sono i documenti anagrafici, le seconde sono le composizioni del poeta stampate in epoche differenti, le terze sono le testimonianze orali e gli aneddoti mandati a memoria dalla comunità. Le testimonianze sono, naturalmente, rese in forma indiretta; non sono verificate ma ritenute tuttavia vere dalla tradizione popolare e dunque degne di attenzione e di fede.
Giovanni Fantoni nacque il 18 giugno 1828 a Cappiano[1] nell’allora comune di Figline Valdarno, provincia di Firenze, (oggi Figline e Incisa Valdarno); di professione era bottaio e bigonaio e con certezza sappiamo che il giorno 11 giugno 1911 si trasferì da Ponte Buriano a Quarata, due frazioni del comune di Arezzo. Si vocifera in terra Aretina che il Fantoni fosse un uomo sempre diretto, un personaggio che non “le mandava a dir dietro”, e a tal proposito circola un aneddoto secondo il quale il nostro poeta dovendo riscuotere dei bigoni da un mugnaio avrebbe scritto il sollecito di pagamento sul muro del mulino trovando l'indomani la risposta sul muro di casa sua:
Tu sei il Bonarini e io il Fantoni
dimmi quando mi paghi quei bigoni.
Tu sei il Fantoni e io so’ il Bonarini
riscoterai quande ci avrò i quattrini.
La professione di bottaio ha portato il Fantoni ad avere molti contatti col mondo contadino e a muoversi assai, tanto per lavorare quanto per selezionare il legname necessario al suo lavoro; questo girovagare lo assimilava molto ad altri girovaghi che si muovevano nelle campagne: merciai, madonnai, cocciai, treccoloni (o pollaioli), norcini, carrai eccetera, eccetera; una particolarità di questi girovaghi era la loro propensione a comporre storie su fatti veri o inventati da cantare nelle comunità che periodicamente visitavano; alcuni di essi davano alle stampe le proprie composizioni così da avere dei fogli volanti da vendere per pochi centesimi alle famiglie contadine. Non si può dire che fossero veri e propri cantastorie, che com’è noto vivevano esclusivamente della loro arte, tuttavia la capacità di comporre e la possibilità di vendere qualche storia a comunità sempre pronte ad ascoltare qualunque novità venisse loro portata, costituivano una buona possibilità di incrementare i guadagni e di ringraziare, cantando, le famiglie che non lesinavano mai sull’ospitalità concessa a questi mestieranti. Il Fantoni era anche un bravo improvvisatore, così ci dicono le voci del popolo, e saper cantare di poesia era un’ottima forma di reclame per il proprio banco; la memoria popolare è piena di poeti mercanti come, per citarne alcuni, Gino Ceccherini, Elio Piccardi, Renato Livi, detto Calamita, Edilio e Guerriero Romanelli, Mario Andreini[2], ricordati e citati ancora oggi dai molti che andavano al mercato anche per sentire cantar di poesia. Non era raro che ognuno di questi mercanti avesse delle ”spalle”[3] nelle varie città visitate che si prestassero a passare qualche ora in loro compagnia per dare manforte nel contrasto.
Riguardo alle capacità improvvisatorie del Fantoni circola, sempre in terra di Arezzo, un curioso aneddoto che vede coinvolti il nostro poeta e un contadino intento ad arare un campo con i buoi: il Fantoni stava passeggiando quando, imbattutosi in questo contadino, nota che l’aratro non prende bene la terra da girare e dunque da buon poeta improvvisa un’ottava che finiva così:
Lo vedi che l’aratro non ti piglia
mettila al terzo buco la caviglia.[4]
Il contadino, offeso e di risposta pronta, controbatte con un’ottava che finiva in questa maniera:
Questo è l’aratro e questi sono i bôi
la caviglia la metto in culo a voi.
La storia continua col dire che i due contendenti si siano poi confrontati in una lunga disturna protrattasi fino a notte fonda.
Giovanni Fantoni è noto però per le numerose storie che ha composte nell’arco della sua lunga vita, la più famosa delle quali è, senza dubbio, la storia di Gnicche conosciuta a memoria in tutta la provincia di Arezzo e in buona parte del resto della Toscana. La voce popolare sostiene che ad aiutare il Fantoni nella correzione e revisione delle proprie composizioni fosse il pievano di Quarata e che questi abbia molto censurato i versi del poeta che aveva un linguaggio molto diretto; se sia vero o no non lo sappiamo a si evince, dalla lettura dei testi fantoniani, che il poeta predilige un linguaggio schietto, diretto, comprensibile da tutti e in certi passaggi anche molto ardito cosa che lo rendeva goloso ai potenziali acquirenti.
Il poeta è morto a Quarata il 18 agosto 1914; era vedovo della moglie Rosa e aveva un figlio, Zanobi Fantoni, zoccolaio e suonatore di organetto.
[1] Le date sono state riprese dal volume: Gradassi, E: Le belle storie aretine di Giovanni Fantoni, Protagonisti Editori Toscani, Siena, 1995
[2] Si veda il volume: Bencistà A., I poeti del mercato: raccolta di contrasti in ottava rima dei poeti estemporanei Gino Ceccherini e Elio Piccardi, Studium, Firenze, 1990
[3] Era pratica diffusa che i vari poeti mercanti spostandosi di piazza in piazza per i mercati, facessero coppia fissa con poeti locali che in cambio di poco compenso si prestavano ad improvvisare per imbonire la clientela.
[4] La caviglia è un pezzo di ferro che permette di bloccare il vomere dell'aratro all'altezza opportuna affinché giri bene le zolle,
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