Florio Londi (1926 – 1997)

La moneta

Se avessi la veggenza dun poeta
tutto il mio senno lo consumerei
pe far capì che cosa è la moneta
a questi sacrosanti babbalei

in questa bella Italia ne cedei
lavorar dalla nascita a compieta
e sempre ancor più schiavi gli rendei
vile denaro ad obbligar la dieta

falsasti la ragion dell'innocente
portasti Giuda nel più reo letame
tu dividesti il mondo ed incosciente

facesti l'uom con alterigia infame
no tu non servi adi sfamar la gente
ma servi solo a far morir di fame.

(F. Londi, La vergine Rima, p.68)

Mite e Gentile

ono ormai passati oltre due decenni dalla scomparsa di Florio londi e i ricordi appaiono ormai sfuocati, mi piace ricordarlo nella sua modesta casetta di Santa Cristina a Carmignano, dove viveva con la moglie Alighiera, un bel nome che evoca poesia solo a pronunciarlo. Ed è con la poesia che bisogna ripensare Florio, e non solo come poeta improvvisatore, di cui ci restano ancora non pochi materiali, fra i quali alcune importanti registrazioni video che conserviamo nel nostro archivio. Purtroppo non perfette, ancora non esisteva il digitale ed eravamo ancora all’inizio della diffusione delle cassette compact e del VHS; fra queste vogliamo ricordare un documentario di Maurizio Ricci (Contadini e poeti) che andrebbe recuperato dalle teche Rai; il documentario faceva parte di una serie di trasmissioni andate in onda alla tv negli anni settanta, se ben ricordiamo, e portavano la firma di Ermanno Olmi.
Era un periodo in cui la tradizione popolare aveva ancora uno spazio nei media e naturalmente un seguito quasi di massa, se si considerano gli spazi in cui si muovevano i poeti estemporanei, soprattutto le Case del Popolo, i mercati e qualche volta anche i piccoli teatri di provincia in cui ricordiamo di avere ascoltato per l’ultima volta Ceccherini e Piccardi, poco prima della loro scomparsa.
Vogliamo citare soltanto una di queste occasioni a cui prese parte Florio, che si rendeva sempre disponibile e non rifiutava mai di essere presente quando lo chiamavano per degli incontri culturali, anche se poi si limitava a recitare la sua parte insieme ai colleghi bernescanti, che erano quasi sempre Nello Landi, Altamante Logli e Natale Masi.
Di questa serata parliamo ancora spesso in occasione di convegni o seminari poetici; fu una rassegna di poesia popolare organizzata dalla Provincia di Pistoia a Lamporecchio nel febbraio del 1991. Si era appena conclusa la prima guerra del golfo fra Iraq e Stati Uniti e si trovarono sul palco per le ottave di saluto, oltre Londi che era stato chiamato a presentarli, anche Nello Landi, Altamante Logli, Natale Masi e Realdo Tonti, e tutti, subito dopo i saluti, affrontarono all’improvviso il tema scottante di cui si era parlato moltissimo nelle ultime settimane; come invitare la lepre a correre perché i poeti estemporanei sono stati tutti, e da sempre, contro la guerra, a cominciare da Anton Francesco Menchi che in epoca napoleonica, rischiando il carcere, non mancava di scagliarsi contro l’Imperatore con i suoi poemetti e il celebre Canto del coscritto.
Riproponiamo solo alcuni versi improvvisati in questa occasione[1], cominciando proprio con Florio che iniziò le classiche ottave di saluto subito seguito da Logli, poi Tonti, infine Landi che dopo aver esaltato la pace:

[...]
Un personaggio alfin ci sia capace
A ridare nel mondo questa pace.

su questa chiusura Natale Masi dette la stura all’argomento che tutti naturalmente aspettavano, rispondendo puntuale:

“E a me mi sembra si soffi in nella brace
invece di attenua’ prende la via
ormai la guerra han detto non più tace”

Londi;

... fra l'Iracche e l'America vediamo
fan guerra come scrive’ su un quaderno
ma dalla guerra poco è che impariamo.
Io Saddame lo manderei all’inferno
e nemmno Busce è che amo,
vorrei Colombo in vita ritornasse
e come la scoprì la sotterrasse ...

Logli:

Noi siamo quelli si che si paga le tasse
pe’ soddisfa’ la maffia e la camora…

Riprendendo ancora una chiusura che invitava a spendere “in attrezzi di lavoro”, Masi spiegava meglio:

Caro collega non si spetta a loro,
io te lo voglio dir ci son misteri
ormai sì, lo sappiam bene e che gli è un coro,
la farebban la guerra di mestieri.”

Concludendo infine, con dei versi che ci sembrano fra i più belli e significativi che mai poeta abbia pronunciato (eravamo presenti) all’improvviso:

[...]
questo deve pensarlo il cittadino,
e vorrebbero di’ gl’ òmini strutti
che la guerra è venuta per destino.

Così cantavano i poeti estemporanei nel febbraio del 1991 a Lamporecchio, si era appena conclusa una delle prime, devastanti guerre contemporanee.
Ma di Florio vogliamo parlare anche come uno dei più colti e raffinati poeti che spesso si allontanava dall’improvvisazione per scrivere versi moderni, abbandonando la rima e dimostrando di poter occupare anche un piccolo spazio nella poesia colta, e ci teneva ad evidenziarlo.
Nel 1986 fu vincitore del Primo Premio di Poesia Città di Empoli con L’età che non ebbi, l’età che non amai; nel 1992 uscì con un altro volume Canto brado e nel 1995 con un romanzo breve Come ciliegio di bosco.
Stava incominciando a farsi conoscere e spesso veniva chiamato nelle scuole a parlare di poesia con i giovani e bambini; suo sogno sarebbe stato quello di vedere le sue poesie pubblicate in un libro di scuola oppure da una casa editrice importante. Non ne ebbe il tempo.
Così, ci ricorda Franco Manescalchi, lo descriveva Francesco Guccini:

“Fra i tanti che ho sentito, il Londi (lo chiamano “il Londi di Carmignano”, un vero e proprio nome di battaglia, quasi fosse quello di Capo di Compagnia di Ventura, lui che è così mite e gentile) mi è sempre sembrato il migliore, anche se si dovrebbe dire “uno dei migliori”, per non offendere nessuno”.

“Cantore epico, alla maniera degli antichi (da qui la sua vena esoterico-elegiaca), Londi rimarrà come interprete dell’Odissea contadina, misteriosamente intessuta di gioia e di lutto.
Portatore di una cultura autentica, Londi ha anche pubblicato due libri di poesia, “L’età che non ebbi, l’età che non amai” e “Canto brado”; opere incantevoli per la stringatezza stilistica e l’intensa emozione che coinvolge il lettore nella visitazione del paese dell’anima tramato di eventi concreti e segreti fortemente segnati dalla malinconia del tempo.
Ora Londi pubblica un romanzo breve, “Come ciliegio di bosco”, che prende il titolo da una bella poesia di Canto brado, in cui si cantano le sorti di una ragazza vittima dell’umana/disumana violenza.
Anche il romanzo ha al centro la figura di una ragazza, e poi di sua figlia, nel contesto di un mondo contadino chiuso come una piccola, terribile Macondo.
Ma ancora una volta Londi risolve il racconto in un’epica naturalistica, svolgendo il tema dall’interno, dal vero, ma in una dimensione fra il sogno e l’incubo, fra il desiderio e la frustrazione storica, com’è spesso il risvolto più profondo del mondo contadino”[2] Lasciamo ancora a Franco Manescalchi l’ultimo ricordo dell’amico scomparso[3]:

“Ricordare Florio Londi significa ritrovare intera la misura della vocalità popolare nelle sue forme più colte e culte. Florio è stato un alto esempio di come la Tradizione del canto possa essere sostenuta da uno stile di vita quasi schivo e naturalmente portato al gesto, alla comunicazione.
Per questo la sua figura asciutta esprimeva una sapienza antica che si rinnovava ad ogni incontro per i toni dimessi ma certi, convalidati da un’esperienza ancestrale, del suo porsi e proporsi.
Cantastorie, poeta e narratore, in ogni genere, Florio metteva del suo, attingeva alla sorgente del canto, del verso e della narrazione un’acqua viva ed amara, quasi battesimale per una laica concezione della vita da cui non era escluso il sacro, ovvero la capacità di fare del tempo e dello spazio (anche nel piccolo nodo del borgo antico) la connotazione medesima del proprio vivere.”

Solo dieci anni dopo il Comune di Carmignano mi chiamò per ricordare il decimo anniversario della sua scomparsa con una pubblicazione a lui dedicata; fu l’Alighiera a consegnarmi alcuni quaderni manoscritti da cui curai un’edizione delle sue rime giovanili, La vergine rima, che fu presentata a Carmignano in occasione della dedica al suo poeta di una strada.
Si tratta di un’antologia di liriche ancora inedite e scritte nei primi anni Cinquanta scelte da due quaderni scolastici a copertina nera dove le poesie, quasi tutte con titolo, sono ordinate secondo il metro, la maggior parte sonetti, ma anche quartine, ottave, endecasillabi sciolti. Il titolo, La vergine rima, è tratto da una delle ultime composizioni del primo quaderno.

[Canto Brado]

So che il mio canto è brado
che aderisce alla vena del braccio
dove poco è il tempo d’ascolto
ma lo terranno a memoria
per quelli di domani
se ci saranno ancora
mimose e maggi
campi d’olivi e vigne
a far cantare.

[Il boschetto dei corbezzoli]

Se per catene o fili d’aquilone
giunga ogni sera sul Caterattone
non so. Ma so
che i tuoi corbezzoli le tue marruche
sanno di festa per i bimbi soli

(Per questo vengo.
Non sono l’orco, bimbi,
sono l’aedo che canta
le prime fatiche del bosco:
l’erba-tovaglia
il rio-bicchiere
il padre che impreca,
i giochi perduti le fiere
le scuole
ogni graffio una riga di mille parole.

Per questo vengo.
Voi, bambini,
rimanete nel gioco
dei rami delle piante.

Domani anche voi
sui passi spenti a collocare il pianto
non tornerete vinti da Dio
ma dalla verità d’un’altra luce
e d’oscuro amerete
il sussurro del bosco
misterioso Dio senza cielo.).

Da questi versi scritti da Florio Londi e pubblicati nel suo secondo lavoro poetico, CANTO BRADO fu tratta l’iscrizione sulla lapide scoperta nel pomeriggio di sabato 22 settembre 2007.
I primi nove riportano integralmente la seconda lirica che dà il titolo al libro; gli altri cinque costituiscono l’inizio della sua lirica, forse la più bella: Il boschetto dei corbezzoli, (fra parentesi le altre tre strofe).
Nell’occasione fu presentato anche il libro di Florio Londi, LA VERGINE RIMA.
Il volume è ormai esaurito, resta ancora nella memoria del PC e varrebbe la pena di riproporlo, ma questa poesia oggi non interessa più a nessuno. Possiamo presentare l’’introduzione:
L’habitat in cui si muove Florio Londi, fin dalle prime prove poetiche, che abbiamo recuperato in due vecchi quaderni gelosamente custoditi dall’Alighiera (la moglie di un poeta non poteva che chiamarsi così) ci riporta indietro nel tempo: romanticismo e tardo romanticismo, arcadia, classicismo… senza trascurare la lettura dei contemporanei: ci credereste? C’è addirittura Papini; non è sorprendente? un poeta contadino che scrive una poesia su Papini, immaginate… E c’è La capra, non quella più famosa e tragica di Saba, una capra più familiare, più capra e meno ebreo perseguitato, che non conosce il dolore impietrito delle terre irredente ma i campi coltivati delle festanti colline toscane. C’è la fiammella d’una fede (La vita non ha domani) che ci fa pensare all’ appena percettibile “traccia madreperlacea di lumaca”[4] di Montale; e c’è soprattutto la natura con la sua devastante bellezza che ci sovrasta e insieme la sua frequentazione partecipata di quell’ambiente umano, povero di mezzi e di aspirazioni, ma ricco di sentimento e di senso pratico della vita, quel mondo popolare e contadino colto in tutte le sue manifestazioni più quotidiane, umili e spontanee: il lavoro, la miseria, l’amore, la morte… soprattutto quel senso di provvisorietà e di effimera presenza su questa terra madre, che ci aspetta paziente… nel cimitero, anzi nel camposanto, una presenza che affiora quasi assillante nei versi dell’allora ancor giovane Florio.

Tra Dante, Pascoli e Gozzano

Ma l’aspetto che più ci colpisce e che consideriamo veramente il più originale di questa breve antologia è la lingua, quella lingua rusticale parlata che il poeta maneggia con rara maestria, che è la stessa della scritta, senza nessuna attenzione alla grammatica e alla sintassi, che non esiste nel linguaggio quotidiano e che sulle righe dei quaderni è vergata come se l’autore rivolgesse direttamente il messaggio ad un fantomatico interlocutore, non necessariamente una persona viva, anzi, quasi mai una persona viva. Il colloquio si dipana sommesso, cerca il dialogo con qualcuno che non c’è più, da poco o da sempre, ma di cui si avverte la presenza evanescente, ben celata negli anfratti impenetrabili della memoria che a stento lascia affiorare i lineamenti di un’immagine femminile, forse esistita soltanto nella fantasia del poeta; parole semplici e sincere, che provengono da dentro, che non sono state pronunciate mai e che la voce impercettibile del poeta sussurra … ricordate Pascoli? Io non son viva che nel tuo cuore.[5] Anche Florio è il poeta di queste piccole cose (ci perdonino gli accademici il blasfemo accostamento), e le myricae di Carmignano non sono poi tanto diverse dalle myricae della Romagna o della Garfagnana, forse solo più mirycae.

Non ci sono date, tranne che in un sonetto del primo quaderno, Rimini, settembre 1953 e una data, 1956, in calce ad una lirica in quartine; nel secondo soltanto un’indicazione nelle quartine dedicate alla sua maestra: vent’anni son passati. Florio, nato nel 1926, frequenta le prime tre classi elementari dal 1932 al 1935, il che ci rimanda approssimativamente al 1953-’55; l’ordine di trascrizione cronologico risulta quindi abbastanza credibile.
Il titolo, La vergine rima, è tratto da una delle ultime liriche del primo quaderno.
L’aspetto che più ci colpisce e che consideriamo veramente il più originale di questa breve antologia è la lingua, quella lingua rusticale parlata che il poeta maneggia con rara maestria, che è la stessa della scritta, senza nessuna attenzione alla grammatica e alla sintassi, che non esiste nel linguaggio quotidiano e che abbiamo riprodotto fedelmente.

In alcune liriche (quarta elementare, la maestra) Florio esprime il grato e nostalgico ricordo ma anche il rimpianto di non aver avuto la possibilità di studiare e di crescere.
Diciamo questo senza denigrare o diminuire il valore estetico della poesia popolare, che nasce e si muove in un contesto diverso da quella colta e tradizionale (come il canto del resto) fatta “dal popolo e pel popolo” per attenerci alla nota definizione del Rubieri .[6] Contesto che ancora oggi ci piace frequentare e valorizzare come facciamo con la grande poesia, da Dante a Pasolini.

Alcune di queste parole hanno il sapore antico del volgare illustre che ci riporta indietro nel tempo, all’origine della nostra lingua; ci troviamo ancora l’uso di certe voci arcaiche e desuete che Florio maneggia con esperta e naturale disinvoltura, come il pastorello incontrato sulla montagna pistoiese dal Tommaseo che correggeva il suo illustre interlocutore: “Canzona e non canzone...” .[7] Qualche esempio: l’augello al posto dell’uccello, arcadica invece di antica, paventare invece di temere, la procella invece della tempesta; e che dire di certe invenzioni colte come l’atropia parca, i patrii lari, Proserpin dal bianco spino.
Parole antiche di raffinata cultura che ancora all’inizio del Novecento sopravvivevano all’ombra dei castagni, come scriveva Ferdinando Paolieri introducendo il suo Pateracchio[8]; si può ancora continuare con gli esempi: la costuma, ultrice, irremeabile... E non faccia meraviglia il frequente e continuo ricorso alle regole dell’oralità.
Troviamo anche delle rime audaci che sembrano davvero accostarsi a certe sperimentazioni metriche dell’inizio del Novecento: Pascoli o Gozzano che facevano rimare rispettivamente Ohio con febbraio[9] e Nietzsche con camicie[10] ; Florio più semplicemente ne L’eroe nazionale fa rimare eroe con troe; più nazionalpopolare di così!..

E concludiamo con una breve annotazione sui suoi endecasillabi, non ne abbiamo trovato uno imperfetto, il giovane poeta sa maneggiare l’endecasillabo come la falce o la pialla: ci sono elisioni sapienti e originali, la dieresi viene per un istinto naturale al comporre in versi: gelosa de tuoi occhi maliardi; c’è l’anaptissi (fantàsima) per allungare la sillaba, la sincope per accorciare (medesmo); parole nuove e inventate per l’occasione (alarne, l’imberlina) che si accordano perfettamente al verso che ne arricchiscono e perfezionano il pensiero… vogliamo proprio citare il Dante dell’inluiarsi?[11]Non c’è da vergognarsi, lo facciamo. Addirittura abbiamo trovato un originale tentativo di sperimentare nuove specie di strofe: quartine seguite da un quinto verso di separazione che rima con il quarto (La levata del sole e L’agnello solitario).

Scheda Biografica

Florio Londi è nato nel 1926 a Carmignano, oggi in provincia di Prato, dove ha sempre vissuto e dove ancora, nella piccola casa che si affaccia sulla strada in località S.Cristina, risiede la moglie Alighiera. Si allontana un po'dal consueto modulo dei bernescanti, licenza elementare, figlio di un piccolo artigiano, Londi segue il mestiere del padre che faceva il ciabattino e incomincia a cantare nella minuscola bottega paterna dove, in un armadio colmo di libri trova la sua vera passione che è la poesia; da qui abbiamo capito, curando questo suo postumo lavoro, quali erano le sue fonti e i suoi maestri: i poemi omerici e altri racconti di mitologia, i classici della letteratura italiana da Dante all’Ariosto, e quelli della letteratura popolare, a cominciare da I Reali di Francia fino ai librettini Salani con le storie di Beatrice Cenci e Ginevra degli Almieri; c’è anche una diffusa conoscenza della cultura artistica e letteraria toscana quale si trovava negli almanacchi regionali[12]utilizzati anche come sussidiari alla cultura ufficiale, manuali agibili e completi che contenevano una miscellanea abbastanza ampia del sapere, colto e popolare che gli permette di andare oltre l’idillio campestre come ad una prima lettura può emergere dalle sue composizioni giovanili.
Dopo la tragica parentesi della guerra incomincia anche lui a improvvisare ottave, nel 1946, diventando poi fra i poeti più attivi di quella che potremmo chiamare seconda generazione del dopoguerra, per intenderci i "discepoli" di Ceccherini, di Cai, di Andreini, di Romanelli.
Fra tutti i poeti dell'area fiorentina, Florio è senz'altro quello che ha pubblicato di più.
Insieme a Romanelli infatti compare in diverse antologie di canto estemporaneo, è stato chiamato più volte alla radio ed in televisione a dare saggi della sua maestria.
Ricordiamo fra le sue apparizioni televisive L'altra campana, con Tortora nel 1980, poi Telepatria internazional a RAI 2, e ancora, nel 1991 con Barbato ne L'altra domenica a RAI 3, infine a RAI 1 con Ciao Italia.
Nel 1989 insieme a Nello Landi e Edilio Romanelli è comparso in un film documentario girato nella maremma laziale (una serie curata per la Rai da Ermanno Olmi) Contadini e Poeti, per la regia di Maurizio Ricci; anche come poeta fu inserito in alcune trasmissioni radio, dove le sue liriche furono lette da Tino Carraro e Silvio Gigli. Articoli e sue composizioni sono pubblicate nella rivista di tradizioni popolari TOSCANA FOLK[13]. Della sua attività di poeta estemporaneo si sono interessati anche Vittorio Gassman, Roberto Benigni (con cui ha contrastato a Carmignano) e Francesco Guccini. Alcuni dei contrasti improvvisati in queste occasioni sono contenuti nel libro I bernescanti, uscito nel 1994[14].

Fra i libri che ha pubblicato, in un’epoca non certo adatta ad affrontare le consistenti spese di edizione, figurano due raccolte di versi: L'età che non ebbi, l'età che non amai, che gli valse il primo premio di Poesia città di Empoli nel 1986
Canto brado (1992) sempre una raccolta di liriche; ambedue pubblicati dalla piccola casa editrice empolese IBISKOS, la stessa che nel 1995 pubblicherà anche il suo romanzo breve  Come ciliegio di bosco, l’ultima ed unica prova di narrativa che Florio ci ha lasciato prima della sua scomparsa avvenuta nel 1997.

La voce di Florio

Grazie all'Archivio multimediale dell’ottava rima possiamo ascoltare integralmente una serata poetica alla quale parteciparono Altamante Logli, Florio Londi, Mario Monaldi e Pompilio Tagliani. Registrazione effettuata da Giancarlo Palombini ad Allumiere (RM) il 5 novembre 1988.

Bibliografia minima

Su ToscanaFolk:

Contrasto poetico fra Toscana, Emilia-Romagna e Lega Lombarda, tenuto a Pavana alla presenza di Francesco Guccini il 3 agosto del 1991 e registrato da Claudio Piccoli, TOSCANA FOLK, n. 2 maggio 1997 pagg. 30-33;
Perché no? All’amico Florio Londi che non ci ha lasciato, di Franco Maniscalchi, TOSCANA FOLK, n. 3 dicembre 1997, pagg. 26-28; Il boschetto dei corbezzoli, dalla rubrica Poesia contadina, TOSCANA FOLK, n. 4 marzo 1999.

Lamporecchio, 8 febbraio 1991, Ottave improvvisate sul tema della guerra. In VHS realizzato dalla Provincia di Pistoia, risoluzione appena accettabile ma leggibile; Florio Londi con Nello Landi, Altamante Logli, Realdo Tonti, Natale Masi, (c’è anche registrazione su audiocassetta e riversamento DVD) (testo pubblicato in: I BERNESCANTI, a cura di A.Bencistà, Polistampa ed. Firenze 1994)

Sesto F.no, 22 maggio 1993, “Lettera aperta ai governanti”, ottave e contrasti in ottava
rima; in VHS risoluzione buona; Florio Londi con David Riondino, Realdo Tonti, Altamante Logli. (testo pubblicato in: I BERNESCANTI, a cura di A.Bencistà, Polistampa ed. Firenze 1994)

Film documentario di Maurizio Ricci “Contadini e poeti”, produzione Rai 1 per la serie “Di paesi e di città” (durata 22’ in 16 mm, con Florio Londi, Nello Landi e Edilio Romanelli, 1987. (brutta copia VHS)

Altre testimonianze su Florio Londi in:

“I poeti contadini” di Giovanni Kezich, Ed. Bulzoni, Roma 1986
“L’ottava popolare moderna”, Atti della 1° rassegna nazionale di canto a braccio, Amatrice 1987 e del Convegno ottava rima, canto a braccio e sapere contadino, Allumiere 1988, a cura di Giovanni Kezich e Luciano Sarego, Nuova immagine ed. Siena 1988;
I Bernescanti, cit.

Note

[1] L’intera serata fu registrata integralmente su nastro VHS; ne possediamo anche la registrazione audio; il tutto fu pubblicato nel libro I BERNESCANTI, a cura di A.Bencistà, ed. Polistampa Firenze, 1994, pagg. 153-156.

[2] Florio Londi, Come ciliegio di bosco, recensione di F. Manescalchi, Toscana Folk n. 1, Libri, pagg. 58-59.

[3] F. Manescalchi, PERCHE’ NO? All’amico Florio Londi, che non ci ha lasciato, Toscana Folk. N. 3, dicembre 1997. pagg. 26-28

[4] Non è nostra intenzione mettere sullo stesso piano autori ed opere così diverse, solo sottolineare come certi “palpiti lirici” possano essere comuni ai poeti. Vedi in E.Montale, Piccolo testamento, la lirica compare nell’ultima sezione de La bufera e altro, intitolata Condizioni provvisorie ed è datata 1953. La poesia di Florio, che certo non aveva letto l’ultimo Montale, è datata settembre 1953, come è annotato in un’altra coeva dello stesso quaderno.

[5] G.Pascoli, La tessitrice (in Canti di Castelvecchio), Mondatori ed. III ristampa Oscar, Milano 1981, pag.671.

[6] Ermolao Rubieri, Storia della poesia popolare italiana, Edizioni del Gallo, Milano 1966, parte II cap. I, pag. 237.

[7] Da N.Tommaseo, Una gita nel Pistoiese, in Antologia, Vol. XLVIII, 1832, “- Canzona e non canzone, pronunciava un pastorello di Lizzano più bello d’un Arcade, che se n’andava con la sua piccola greggia in Maremma”, Cutigliano 20 ottobre 1832.

[8] “Studiando il loro vernacolo [dei contadini], mi sono avvisto che questo non è (benché un po' più corrotto) che l'antico volgare, di cui gli avanzi pare siensi rifugiati a morire al rezzo dei castagni che svettano sui monti posti a cavaliere tra il Senese, il Chianti e la Val d'Arno”. F.Paolieri, I’ pateracchio, introduzione alla prima edizione, Società Libraria Editrice Nazionale, Roma 1910.

[9] G.Pascoli, Primi poemetti (1904), Italy, v. 1-3.

[10] G.Gozzano, I Colloqui (1911), La signorina Felicita ovvero la Felicità, VI.

[11] Dante, Par. IX, 73: Dio vede tutto, e tuo veder s’inluia”.

[12] Un esempio di questi libri può essere offerto dalla COLLEZIONE MONDADORI ALMANACCHI REGIONALI, nel nostro caso quello di L. Lucattini, La Toscana, A. Mondadori, Milano 1924, sicuramente diffuso negli anni in cui Florio frequenta le elementari. Ci sono in questi volumetti le poesie di Pascoli e i racconti di Idelfonso Nieri, i Santi e le letture d’igiene, i grandi Toscani e i monumenti delle città.

[13] Contrasto poetico fra Toscana, Emilia-Romagna e Lega Lombarda, tenuto a Pavana alla presenza di Francesco Guccini il 3 agosto del 1991 e registrato da Claudio Piccoli, TOSCANA FOLK, n. 2 maggio 1997 pagg. 30-33; Perché no? All’amico Florio Londi che non ci ha lasciato, di Franco Maniscalchi, TOSCANA FOLK, n. 3 dicembre 1997, pagg. 26-28; Il boschetto dei corbezzoli, dalla rubrica Poesia contadina, TOSCANA FOLK, n. 4 marzo 1999.

[14] Si tratta di una raccolta di serate poetiche in ottava rima che va dalla fine degli anni settanta al dicembre del 1993, quasi tutta incentrata sulle tematiche sociali e politiche dell’epoca; nella parte introduttiva le schede dei più rappresentativi poeti estemporanei del secondo Novecento: I bernescanti, il contrasto in ottava rima e le tematiche attuali, (a cura di Alessandro Bencistà), Edizioni Polistampa, Firenze 1994.

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