Intervista a Gianni Verdi
Custode del bruscello popolare
Il perché di un’intervista
o sempre ravvisato nel teatro popolare, e nel bruscello in particolare, una certa analogia con la riflessione di Aristotele (ma si potrebbero anche scomodare le riflessioni estetiche di altri pensatori come Leibnitz, Baumgarten, Kant) a proposito della rappresentazione drammatica. Purtroppo dell'opera del filosofo calcidico (La Poetica) è andata perduta la parte relativa alla commedia che è forse l'azione teatrale più vicina ai bruscelli casalinesi di cui ad oggi abbia cognizione. Dunque la commedia per Aristotele narra vicende compiute da uomini (personaggi) peggiori di chi guarda; vicende che diventano ridicole quando hanno un esito negativo ma che nella loro ridicolezza stimolano una riflessione e dispensano un insegnamento agli spettatori. Il bruscello è mimesi poetica che come il bello, ci rammenta Aristotele, deve produrre piacere misto a conoscenza, deve possedere un intreccio ordinato, armonico, dove ogni parte agisca in coerenza con le altre e con il tutto, e deve avere una "grandezza" proporzionale alla memoria di chi guarda: esattamente le caratteristiche del bruscello. Ma questo è il mio punto di vista da spettatore; visti dall'interno bruscello e ottava rima assumono altri significati e perciò ho ritenuto utile farli raccontare al loro fido custode casentinese, mentore dei moderni bruscellanti e cultore profondo dell'improvvisazione poetica oltre che poeta bernescante esso stesso: Gianni Verdi.
Nelle belle risposte di Gianni si accenna ad un luogo ormai dimenticato dei paesi: la bottega, che in piccoli centri come Casalino rappresentava uno dei luoghi più vissuti dalla comunità; era luogo di ritrovo dei paesani, era il luogo deputato al canto e alla socialità, al gioco e alle bestemmie, alle merende e alla misericordia: insomma era la "vita" e forse l'attività commerciale era accessoria a tutte le altre. Immaginare due bambini di pochi anni ritti su dei panchetti, pulpiti improvvisati, a cantare uno dei contrasti più diffusi nella campagna toscana stimola una riflessione sul ruolo che i poeti estemporanei (che potremmo identificare col genio kantiano), e i cantori avevano in comunità per certi versi diametralmente opposte a quelle che conosciamo oggi. Ma questa è un'altra storia che forse un giorno ci piacerà di raccontare ...
Le fotografie che corredano questo articoletto sono state scattate nel 2018 in occasione della rappresentazione di "Belinda" il bruscello ritrovato in un vecchio baule di cui l'amico Verdi scrisse due anni or sono in questo blog. Dopo Belinda è stato messo in scena "I nobili" di Prisco Brilli, poi sarebbe stata la volta de "Il barbiere di Siviglia" ma le misure governative anti COVID non ne hanno permessa la rappresentazione ed ora è in cantiere "La forza del destino" di Carlo Brocchi da rappresentare, se il "destino" lo vorrà, nella prossima stagione.
L’intervista
Gianni, dicci chi sei.
Sono nato nel 1966, ho sempre vissuto in Casentino, sono sposato e ho due figlie ormai adulte. Sono giornalista, ho una formazione economica, lavoro nell’ambito della comunicazione per aziende, Enti, media. Collaboro con radio, giornali e tv dal 1984, il palco l’ho frequentato soprattutto come presentatore, moderatore, conduttore.
Quando e come hai conosciuto l’ottava rima? E il bruscello?
Da sempre in casa mia l’ottave l’ho sentite risuonare. Si stava a Casalino, nell’allora comune di Pratovecchio. Di domenica, in bottega, a me e mio fratello ci mettevano ritti su un tavolino e ci facevano cantare il contrasto fra il contadino e il fiorentino, dandoci cioccolate, caramelle, cedrata, spuma. Era uno spasso! Finì di colpo perché io – che avevo 5 anni - mi impuntai di non voler più fare il contadino, che anche se alla fine vinceva il contrasto veniva sempre coperto di insulti dal fiorentino saputo e arrogante… quando avevo 10 anni il parroco Don Carlo Corazzesi con alcuni uomini del paese (fra questi il mio babbo) decisero di recuperare la tradizione del bruscello per onorare la memoria di Beppe Ceccatelli, ultimo poeta di Casalino. Il bruscello cominciò a diventare un’usanza, e poi l’ottava rima è contagiosa, e una volta che l’hai conosciuta non ti lascia più.
L’ottava rima è stata un linguaggio comune ai toscani almeno fino alla fine degli anni Ottanta. Il Casentino, che è la tua terra, ha generosamente donato poeti, storie e canti popolari e oggi vanta da questo punto di vista una memoria invidiabile ma nei paesi di fondovalle questo sapere pare che sia andato perduto. Perché?
Non solo nel fondovalle purtroppo, ma ovunque. Immagino che con gli anni dello sviluppo economico, anche l’ottava abbia rappresentato un legame – e forse uno dei più profondi – con una civiltà rurale che si voleva fortemente dimenticare, perché l’affermarsi della società dei consumi portò un rapido benessere e il miglioramento delle condizioni di vita. Anche in casa mia fu demolito prima che io nascessi il grande camino della cucina, e tolti i vecchi pavimenti; mio nonno aveva ancora il somaro ma poi non servì più, e le vecchie case si svuotarono, furono acquistate da nuovi villeggianti. Si aprì comunque un’epoca molto bella per chi come me l’ha vissuta da piccolo, e devo essere grato a quelli che recuperarono la tradizione del bruscello; ovviamente lo collocarono ad agosto invece che a carnevale, perché c’era più gente e serviva da intrattenimento alla sagra paesana del tortello. A giudicare dal gran pubblico che veniva, l’iniziativa fu un successo, ma credo che si ritenesse giusto confinarlo entro quei limiti, a ben pochi avrebbe fatto piacere rivivere il recente passato. Diverso era l’approccio di una certa cultura, che sosteneva questo tipo di custodia. Penso ad esempio alla professoressa Maria Elena Giusti, che da poco ci ha lasciati, e che pur essendo allora molto giovane era preparata e molto dinamica.
Chi è, secondo te, il poeta estemporaneo? Che ruolo ha, se ce l’ha?
Il poeta estemporaneo è senza dubbio un artista. Nessuno mi dica che improvvisare rime endecasillabe istantaneamente su qualsivoglia argomento non è arte. Ascolto con invidia i più bravi quando ci si incontra (adesso solo in video, ahimé), e ne rimango ammirato. Dunque il ruolo è quello tipico di chi fa arte: comunicare emozioni. E cogliere questo tipo di emozioni non è difficile, bastano un po’ di curiosità e un animo ben disposto, l’umiltà di riconoscere le proprie radici, il desiderio di mettersi alla prova.
Quando fosti sindaco di Pratovecchio ti spendesti molto perché l’ottava rima tornasse a scandire il tempo delle persone. Tutti gli anni invitavi i poeti a cantare dietro le scuole di Casalino. Se dovessi fare un bilancio di quelle politiche come lo faresti?
Quando venni eletto, nel 2006, a Casalino già il bruscello non si faceva più da 20 anni. Anche prima avevo provato a ricostituire un gruppo di cantori, senza successo. Poi da Sindaco provai a far scoccare di nuovo una scintilla nei miei compaesani ma anche quel tentativo non riuscì. Ricordo giornate molto belle, un bel pubblico, ma anche poca predisposizione a capire i modi diversi di espressione dell’ottava, come se ogni piccolo borgo si ritenesse l’unico depositario della melodia autentica, della vera intonazione eccetera. Oggi so che la disponibilità a confrontarsi con gli altri (che poi sono veramente i nostri vicini…) è il solo modo per mantenere viva la conoscenza di certe usanze. E di questo punto di vista ringrazio il professor Paolo De Simonis, che lo espresse con molta chiarezza quando venne a Casalino ad agosto 2018 per la prima rappresentazione del bruscello - diciamo così - della nostra era.
C’è stato un lungo periodo di silenzio a Casalino, e poi è tornato il bruscello. Secondo te si tratta di un segno di affezione nostalgica per i tempi passati o è il segnale che una comunità sente nuovamente il bisogno di ritrovarsi a celebrare un rito?
All’inizio fu proprio un segno di nostalgica affezione. Ricordo quando ebbi notizia da Andrea Rossi dell’Ecomuseo che a Moggiona il prof. Danilo Tassini aveva rinvenuto in una vecchia soffitta un quaderno con l’intero testo di un bruscello. Letteralmente quella notte non riuscii a dormire, tanti furono i ricordi che mi si ripresentarono. Informai su facebook i Casalinesi d’ogni dove e ricordo tante reazioni commosse. Dopo quella emozione iniziale, è nata una piccola comunità di cantori molto coesa, decisa a tenere viva la tradizione del bruscello. C’è gente di Casalino oltre a me, ma ci sono più che altro persone di tanti altri paesi, e questa per me è una vittoria. Al nostro primo ritrovo, solo noi casalinesi conoscevamo la melodia del bruscello. Oggi la conoscono a Moggiona e a Serravalle, a Bibbiena e a Stia, a Cetica e in Valdarno, a Castiglion Fiorentino e a Corsalone. Questo mi pare sia il più evidente successo.
Quanto è diverso, se è diverso, il bruscello di ieri dal bruscello di oggi?
E’ diverso perché non ci sono più certe persone e certe voci. Noi lasciamo liberi i personaggi di interpretare i ruoli anche secondo la propria creatività. Nei bruscelli che sentivo da piccolo i personaggi erano quasi immobili, figure ieratiche che cantavano con toni solenni, e a me piaceva molto così. Ma appunto non bisogna mai aver paura della creatività, altrimenti si cade nello stantio, che guarda caso fa rima con oblio…
Chi erano i bruscellanti di ieri? E chi sono i bruscellanti di oggi?
Quelli di ieri erano persone che riconoscevano in quelle ottave le proprie radici. Il bruscello aveva una funzione sociale importantissima. I bruscellanti di oggi sono gente pratica di musica e di palco, che già fossero o meno cultori dell’ottava come Marco Betti e Marco «Marcaccio» Giovani, conoscitori delle tradizioni come Lorenzo Michelini e Stefano Fabbroni, musicisti o attori di rango come Luca Miani e Lenny Graziani, giovani di grande talento come Filippo Massaro e Alberto Marioni, cantanti e uomini di spettacolo come Paolo Innocenti e Daniele Parachini. È meraviglioso che questa storia continui con grande piacere di tutti, compresi i rammentoni storici Franco Cipriani e Moreno Ristori, e i bruscellanti all’albero, Iury Poggianti e Bernardo Sassoli.
Il teatro popolare spesso viene denigrato come una frivola manifestazione popolare eppure, oggi che tanti riti sono scomparsi e che le comunità si sono dissolte se ne sente la mancanza e specialmente in questo periodo di pandemia e di ristrettezze. Sei d'accordo? Perché?
A queste forme d’arte non si dà peso proprio perché in teoria le possono fare tutti, quindi non vengono considerate espressioni di eccellenza. La realtà è ben diversa, come dicevo poc’anzi. Credo anch’io che la pandemia ci abbia spinti a cercare, nei ricordi, delle atmosfere più “rassicuranti”, forse perché è venuta meno la socialità e la possibilità di esprimere gli affetti. Basta guardare quanta gente, durante il lockdown, ha aperto il cassetto dei ricordi e pubblicato sui social le proprie vecchie foto.
Quale futuro prevedi per l’ottava rima e per il bruscello? E cosa pensi della tradizione popolare? È sempre la stessa? Si è modificata? È destinata a sparire per sempre?
Quando mi sono dato da fare per “rispolverare” il bruscello, entrando poi in contatto diretto con tanti protagonisti dell’ottava rima, non avevo in mente niente di preciso se non risentire certe melodie e con esse riprovare certe emozioni. Poi ho iniziato a prendere coscienza del fatto che il recupero fine a se stesso non è che serva molto, se non a procrastinare di qualche anno ancora un'estinzione già stabilita dal mutare dei tempi. Dunque non so proprio dare una risposta, o magari non serve nemmeno avere sempre una risposta; finché c’è voglia di ritrovarsi e bruscellare il movimento andrà avanti. D’altronde il canto estemporaneo è proprio così, le ottave improvvisate oggi già domani non ci sono più, e ce ne sono altre. Oggi sento che mi piace cantare le storie che conosco, e magari quelle che imparerò, o quelle che comporremo, chi lo sa. Non ho più bisogno delle cioccolate e delle caramelle per divertirmi a cantare l’ottava, anche se buone come quelle di allora non le ho più mangiate!
Ti andrebbe di scrivere un’ottava per Lentopede?
Va bene uguale se ne scrivo due?…
Parecchi sono i casi della vita
Che fanno sbalordir quasi ogni giorno.
Come un’usanza che credei finita
E ti emoziona per il suo ritorno.
È come se la gioventù appassita
Tornasse col suo chiasso e il suo frastorno…
Tanti, dei vecchi amici, più non vedi
Ma tanti nuovi n’hai, che non ci credi!
E tutti insieme lì, a muovere i piedi
Ballando intorno al ramo del bruscello
Con l’allegria di sempre, e tu ti chiedi:
Si fa cultura o solo un gran macello?
Li vedranno, i nostri avi, i loro eredi
Dal mondo dove tutto è assai più bello?
Di certo io li sento, qui vicino,
Come fossero in piazza a Casalino!
Bravissimi tutti i tuoi cantori o parlatori. Vi ho sentito un paio di volte fare le prove dove capita ( Bar Centrale ) certo non è la bottega del Casalino . Sarei contento di sentirvi nel nostro TEATRO DEGLI ANTEI per la riapertura di buon auspicio saluti