Sull’onda del WiFi

Riflessioni su due veglie virtuali

La ricaduta dei provvedimenti presi dal consiglio dei ministri nel marzo del 2020 ha fatto sentire i propri effetti anche sull’attività dei poeti estemporanei e sull’umanità che a vario titolo ruota intorno al mondo dell’improvvisazione poetica. Sono state sospese tutte le attività, almeno fino al maggio di quell’anno, dopo di che qualcosa molto timidamente si è mossa per tornare all’immobilismo più assoluto da ottobre 2020 a luglio 2021. Ragioni di profilassi sanitaria che non riguardano questa riflessione ma che hanno suscitato un certo dibattito tra i poeti, svoltosi principalmente sul gruppo WhatsApp «L’Ottocantante», attivato, colla scusa degli auguri di buon anno, nel 2018 per creare un canale comunicativo rapido che sollevasse lo scrivente dall’incombenza del consueto giro di telefonate. La risposta al distanziamento sociale e alle sue conseguenze è stata, considerata la positiva risposta all’uso del gruppo WhatsApp, la proposta di una «veglia virtuale» sfruttando la piattaforma Google Meet; le occasioni d’incontro create sono state due: la prima il 30 ottobre 2020 e la seconda il 28 novembre successivo; ambo gl’incontri hanno avuto un discreto numero di partecipanti, dovuto molto probabilmente al fatto che i poeti e i loro seguaci si sentono parte di una comunità che basa i propri legami non tanto, o non solo, su una prossimità territoriale[1] quanto sul senso di appartenenza[2] che, è ragionevole pensare, le restrizioni governative abbiano in qualche modo acuito.

Le esperienze sulle quali riflettiamo non hanno avuta una replicazione, e non per mancanza di volontà quanto per una certa «incapacità interazionale» che ha pervaso i poeti partecipanti compreso lo scrivente. In buona sostanza lo spazio sociale virtuale, o ciberspazio, nel quale è ormai ampiamente acclarato che tempo e spazio trovino dimensioni diverse rispetto alla realtà[3], non ha permesso che l’arte bernesca si esprimesse in tutta la sua potenza, reprimendo, se così si può dire, lo slancio naturale dei poeti. Evidentemente sono mancati i gesti, gli sguardi e l’occupazione dello spazio che completano, al di là della parola, l’interazione tra gl’individui[4], e, nel nostro caso, tra i poeti impegnati nel canto e tra questi e il pubblico che non è mai fruitore passivo in incontri del genere. Quella che pareva una comunità virtuale[5] potenzialmente esistente, e quindi capace di orientarsi e interagire in internet, si è di fatto dimostrata tutt'altro che una comunità; si è respirato fin dalle prime battute quell’imbarazzo tipico delle situazioni nuove durante le quali più persone sconosciute tra loro si trovano ad interagire per la prima volta. Eppure, a parte un paio di flâneur che avevano reperito il link agli eventi sulla pagina Facebook di Lentopede[6], il resto dei presenti erano tutte persone più che note le une alle altre e abituatissime a interagire tra loro.

Nelle settimane successive agli eventi abbiamo avuto modo di discutere con diverse persone circa l’insoddisfazione provata da alcuni e le critiche, poche ma puntuali, che altri hanno mosso alle nostre veglie virtuali. Alcuni hanno dato la colpa dell’insuccesso al computer, altri all’incapacità di certi poeti di usare il mezzo tecnologico per esprimersi, altri ancora hanno fatto notare che i poeti migliori, fedeli alla tradizione, si esibiscono solo in presenza e che quello non era il modo migliore per sentire cantar di poesia: ognuno di loro aveva un pezzo di ragione la quale, si sa, non è mai disgiunta dal torto. L’ambiguità del mezzo utilizzato parrebbe l’unica responsabile di questo primo difficoltoso tentativo di migrazione dell’improvvisazione in uno spazio sociale diverso e affatto nuovo per questo tipo di attività. Internet è ormai considerata un mezzo di comunicazione che racchiude in sé tanto le caratteristiche dei mezzi di comunicazione di massa quanto le caratteristiche dei mezzi di comunicazione interpersonale risultando un mezzo ibrido che inevitabilmente influisce sulla socializzazione e sulla comunicazione interpersonale[7]. A maggior ragione nella poesia estemporanea, la cui performazione sottostà a regole condivise e piuttosto precise che ne permettono l’esecuzione e la comprensione, modificare arbitrariamente queste regole “delocalizzando” l’ottava rima e integrandola in performanzioni diverse già la rende qualcosa di altro e non tutti i poeti sono inclini a derogare alla tradizione e anche una parte del pubblico più assiduo dimostra un misoneismo del quale si deve necessariamente tenere conto. Cristina Ghirardini a proposito dell’organizzazione degli eventi poetici e della performazione poetica scrive:

Chiunque abbia organizzato un incontro pubblico di poesia estemporanea in ottava rima sa perfettamente che non è facile creare le condizioni per far nascere dei contrasti ben riusciti [...] ma è anche [essenziale] organizzare l’incontro poetico in un contesto in cui il pubblico sappia intervenire con applausi e far sentire la propria presenza con l’ascolto competente. [...] Ciò che infatti caratterizza la poesia estemporanea in ottava rima è la relazionalità del canto, che è sempre rivolto al/ai poeta/i avversario/i e al pubblico[8]».

È vero. Se qualcosa è mancato in questi incontri e se ha ragione Mead secondo cui l’io è il prodotto dell’interazione tra gli attori e non gli attori stessi,[9] nel nostro caso i poeti e il pubblico, siamo ragionevolmente autorizzati a pensare che sia mancata gran parte dell’interazione poetica che è la condizione necessaria e sufficiente affinché un incontro di poesia a braccio abbia luogo e dunque sono mancati i poeti perché poeti estemporanei lo si è quando si è riconosciuti in un ruolo definito all’interno di una altrettanto definita situazione[10]. L’esperienza del contrasto poetico ci porta infatti ad osservare come la qualità della performazione non dipenda tanto dal poeta in sé quanto da suo relazionarsi coll’ambiente nel quale si trova ad agire; così un poeta di fronte a un pubblico percepisce quali siano le aspettative che il pubblico ha su di lui e cerca nel migliore dei modi di soddisfarle; e quando parliamo di pubblico ci riferiamo tanto al pubblico vero e proprio quanto al poeta avversario del momento che, nell’ascolto, rappresenta il pubblico maggiormente competente. Poeti che consideriamo meno bravi producono preformazioni migliori quando cantano con poeti che riteniamo più bravi, tuttavia i poeti che riteniamo più bravi calano di livello quando si trovano a contrastare con colleghi meno performativi[11]. Lo stesso vale per il pubblico udente; maggiore è l’aspettativa degli astanti, che probabilmente cresce proporzionalmente alla competenza nell’ascolto, migliore è la performazione del poeta e viceversa.

Nelle nostre due veglie virtuali è mancato un pubblico competente perché non era in grado di esprimere la propria competenza e non perché questa mancasse; sono mancati tutta una serie di gesti, di sguardi, di ammiccamenti solidali (spesso impercettibili ai più) tra i poeti che accompagnano la performazione e sostengono moralmente i vati nelle loro argomentazioni perché il mezzo non ne prevedeva l’espressione. Non basta un luogo qualsisia per fare poesia estemporanea ma non è detto che un nuovo spazio sociale, virtuale, impalpabile non possa essere in futuro il teatro di una performazione poetica di alto livello; dovremo abituarci a conoscere la nuova realtà, a capirne le regole, a schivarne le insidie a sfruttarne le risorse; a viverla pienamente così come viviamo gli spazi quotidiani. Si tratta di farne conoscenza, come abbiamo fatto conoscenza del mondo, e metterla al servizio degli altri.

Note

[1] I poeti, spesso distanti l’uno dall’altro diverse decine di kilometri, sono abituati a vedersi raramente e solo nelle occasioni deputate al canto improvvisato; era logico pensare che il senso di appartenenza alla comunità dei bernescanti li spronasse a rispondere positivamente alla chiamata «virtuale».

[2] Cfr: ANDERSON, Benedict. Comunità immaginate: Origini e fortuna dei nazionalismi. Gius. Laterza & Figli Spa, 2018.

[3] Scrivo "realtà" per maggiore chiarezza espositiva e non perché il ciberspazio, come parecchi possono essere indotti a credere, sia finzione e si ponga in antitesi allo spazio materiale; l’uno e l’altro sono realtà che esistono e cooperano e che l’umanità occupa e usa quotidianamente senza distinzione.

[4] Cfr: GOFFMAN, E. Il rituale dell’interazione, il Mulino, Bologna,(1988)

[05] Cfr: RHEINGOLD, Howard. Comunità virtuali: parlare, incontrarsi, vivere nel ciberspazio. Sperling & Kupfer, 1994.

[06] https://www.facebook.com/pedelento

[07] Per approfondire:
Balbo, Laura, Morcellini, Mario, and Pizzaleo, Antonella Giulia. Net Sociology Interazioni Tra Scienze Sociali E Internet. Milano: Guerini, 2002.
WELLMAN, Barry; HAYTHORNTHWAITE, Caroline. The Internet in everyday life. John Wiley & Sons, 2008.;
Giordano, Valeria, e Stefania Parisi. Chattare Scenari Della Relazione in Rete. Universale Meltemi. Roma: Meltemi, 2007.

[08] C. Ghirardini, Il nomos dell’improvvisazione poetica in ottava rima in Italia centrale, in “Clionet. Per un senso del tempo e dei luoghi”, 2 (2018) [03-02-2019]. https://rivista.clionet.it/vol2/societa-e-cultura/storie_paese/ghirardini-il-nomos-dell-improvvisazione-poetica-in-ottava-rima-in-italia-centrale. Ultimo accesso 24-09-2021.

[09] Cfr: MEAD, George H. Mente, sé e società. Giunti editore, 2010.
SANTARELLI, Matteo. Riconoscimento, natura, società: la genesi e lo sviluppo del sé in GH Mead. 2010. http://www.dialetticaefilosofia.it/public/quaderni/707.pdf Ultimo accesso 24 settembre 2021.

[10] Potremmo pensare a una sorta di esistenzialismo relativo: il poeta esiste in relazione all’ambiente e alle persone colle quali, in un determinato momento, interagisce; fuori da situazioni definite il poeta manca esistendo soltanto in potenza.

[11] Questo al netto delle capacità di ogni poeta di decentrarsi e porsi empaticamente nella relazione performativa con il poeta avversario.

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