Romolo Trinchieri e i suoi pastori
Il festival di canto a braccio va in trasferta.
Montereale, 14 settembre 2018
Montereale è un capoluogo di comune in provincia dell’Aquila posto a cavallo tra l’Appennino abruzzese e l’Appennino umbro-marchigiano. Nel suo territorio, per buona parte compreso nel Parco Nazionale del Gran Sasso e dei monti della Laga sorge il fiume Aterno che percorre tanta parte d’Abruzzo e sfocia, una volta unitosi col fiume Pescara, nel mare Adriatico.
Coi suoi 1000 metri di altitudine offre un gradevole soggiorno a chi cerca riparo dalla canicola capitolina ed è stato per lungo tempo il buen retiro di Romolo Trinchieri (1886 – 1978), giudice conciliatore ed etnografo “dilettante”, studioso degli usi e dei costumi dei pastori dell’alto aquilano e grande appassionato di ottava rima. L’occasione del XIII festival regionale di Canto a Braccio tenutosi a Borbona dal 14 al 16 settembre scorsi ha permesso l’organizzazione di un convegno presso il centro di aggregazione sociale di Montereale per ricordare il giudice romano nel quarantennale della morte.
L’importanza di una figura come quella di Trinchieri è data dal suo essere stato un precursore nello studio globale della cultura pastorale. Autore del quasi introvabile volume Vita dei pastori nella campagna romana, ha suggerito un metodo di ricerca valido ancora ai nostri tempi.
Hanno accolto e salutato i convegnisti Massimiliano Giorgi sindaco di Monterale e Antonella Gregori consigliera delegata del comune di Borbona.
Pastorizia e canto a braccio paiono davvero un binomio inseparabile e tanto si è detto e si è scritto su questa virtuosa pratica del canto improvviso che ha sempre eccitata la curiosità di studiosi e intellettuali. E proprio di pastorizia, coordinati da Maurizio Ragni, si sono occupati nei loro interventi due importantissime figure di studiosi: Roberta Tucci demoetnoantropologa già allieva di Diego Carpitella, che ha analizzato, in un intervento dal titolo l’etnografia pastorale di Romolo Trinchieri, l’opera dello studioso romano attraverso una serie di immagini fotografiche dei pastori, e Giovanni Kezich direttore del Museo degli usi e costumi della gente trentina di San Michele all’Adige che ha raccontato la meticolosa ricerca delle scritte dei pastori della val di Fiemme graffite nei secoli dagli allevatori al pascolo in una comunicazione dal titolo Le scritte dei pastori della Valle di Fiemme nella cultura pastorale d’Europa.
Davvero una figura particolare che meritava senz’altro un ricordo e una riflessione specialmente in tempi incerti come questi che stiamo vivendo dove pare che il rapporto umano vada sempre più dissolvendosi a discapito dello scambio culturale e del rinnovamento della tradizione che pare cristallizzata al bel tempo che fu. D’altronde pare impensabile un rinnovamento degli stili e dei contenuti a causa dello sparutissimo gruppo di giovani che, pur custudondone il sapere, non hanno la “forza” per imprimere la spunta necessaria al rinnovamento. Pensare tuttavia che la tradizione sia morta e sepolta è stupido; riconoscere che a un certo punto si è interrotta bruscamente, e forse volutamente, la trasmissione orale, artigianale e artistica è un doveroso atto di autocritica. Nessuno può conoscere un mondo senza viverlo come appunto Trinchieri visse il mondo dei pastori e dei poeti e come l’hanno vissuto e lo vivono Roberta Tucci, colla quale ho avuto l’onore di condividere il viaggio da Roma a Montereale, e Giovanni Kezich col quale ho potuto scambiare qualche ottava improvvisata al festival di Borbona.
Non meno interessante è stato l’intervento di Paolo Muzi della deputazione abruzzese di storia patria, che ha tracciato un ritratto esaustivo dell’operato intelletuale di Trinchieri; ma forse il momento più intenso si è registrato quando son intervenuti i poeti estemporanei al termine della serata e durante la deliziosa cena preparata e offerta dalla Pro Loco monteralese.
Berardino Perilli di Campotosto, Dante Valentini di Posta, Francesco Marconi di Cittareale, Marcello Patrizi di Montereale, Marinella Marabissi, di Sovicille, Marco Betti di Figline Valdarno e Giampiero Giamogante di Roma hanno naturalmente concluso il convegno cantando senza tema assegnato: si sono spontaneamente formati due tavoli di poeti che hanno improvvisato ottave sulla poesia e sul canto a braccio e si sono sfidati su temi eletti sul momento.