Se le guardiamo bene sono due assicelle di legno, magari di castagno o di quercia, lunghe 13-15 cm e larghe 3. Spessore a piacere ma quanto basta a serrarle tra l’indice il medio e l’anulare. Si possono battere, rullare o rinterzare o meglio ancora si possono combinare tra loro questi movimenti e finalmente accompagnare una melodia.
un suonatore di gnacchere taoscane
I due suoni complementari, direbbe un etnomusicologo, vengono prodotti da due pezzi di ossa. Le due parti stanno in mezzo alle dita della mano, battono insieme grazie al movimento del polso e dell’avambraccio producendo ritmi diversi. I pezzi a volte sono curvi e flessibili.
Un gioco da ragazzi. Verrebbe da dire. E in effetti un gioco da ragazzi lo fu almeno fino alla dissoluzione della civiltà contadina. Tonino ricorda che: «Da ragazzino i’ mi divertimento eran le gnacchere. A 7-8 anni, settanta’anni fa. L’aveo viste sonare da altri vecchi avanti a me.» ; anche Fosco, classe 1922, racconta che: «Da ragazzetti si facea un pezzo di legno e si sonavano. S’eran viste a quegl’altri. L’aveano un po’ tutti. Le si facean di castagno. Gli era un divertimento de’ ragazzi e basta questo. Noi si chiamano gnacchere se poi si dice nacchere io e ‘un lo so.».
L’ingarbugliato mondo delle nacchere nasconde un’insidia ad ogni definizione.
CROTALI (crepitacŭla): sono uno strumento a percussione, corrispondente in certo modo alle nostre nacchere o castagnette. I crotali potevano essere di argilla, di legno, di rame o anche di avorio, e qualche volta erano costituiti da due conchiglie e da non confondersi con il serpente a sonagli che porta lo stesso nome! I crotali noi li conosciamo come gnacchere ma gl’Inglesi, affezionati alle ossa, le chiamano BONES. Pare che dalla fine del 1500 questa parola iniziò a riferirsi alle nacchere fatte di osso o di avorio e più tardi il termine fu usato anche per il legno: esse erano simili come modello, ma piatte anziché ricurve e anch’esse venivano chiamate bones.
Nel 1600, sempre oltre la Manica, le bones cambiano ancora una volte nome e divengono knicy-knackers: subito vengono associate alla musica burlesque, a quella per bambini e alla musica della lowerclass. Il termine bones, nacchere piatte, ricompare in America introdotte, probabilmente, dagl’immigrati irlandesi.
Nella vecchia Europa, almeno fino al 1700, nacchere o “gnacchere” venivano usate senza troppa distinzione quando si parlava di quelle spagnole o di quelle piatte e allungate.
In Italia compaiono in diverse regioni e con altrettanti nomi: a Bergamo le chiamano terlech, in Val d’Aosta sono assette e poi ci sono anche in Liguria, Sardegna, Calabria e Sicilia. Sono quasi sempre di legno, tranne che in Sicilia dove sono spesso fatte di osso. In Toscana tutti le conoscono per “gnacchere” e pare che la loro origine sia etrusca. Forse.
Su quando e dove siano comparse per la prima volta le nacchere tutti hanno una propria opinione. La più diffusa pare che sia quella che racconta della loro origine egiziana o più ancora mesopotamica. Da qui si sono poi spostate nell’antica Grecia e a Roma. Scrive Properzio:
“Suonava la tibia un egizio e Fillide danzava colle nacchere, da sole si spandevano con grazia queste rose, mentre un nano, rattrappito nei corti arti, le mani tronche, batteva al suono d’incavati strumenti.”
Nell’antico Egitto le nacchere si suonavano con due mani e accompagnavano sempre le danze: erano due lame ricurve che ben presto furono fatte anche di legno e avorio.
Strumento femminile quello delle nacchere: le suonano le donne, quando danzano, e non solo nell’antico Egitto.
A un certo punto le nacchere sbarcano in Grecia: qui sono conosciute con il nome di “crotali”. I suonatori le tengono due per mano e attraverso la manipolazione delle dita i crotali battono l’uno contro l’altro. Quando c’è un ballo ci sono anche loro, soprattutto se si tratta di danze in onore di Dioniso e Cibele.
Omero li ricorda così:
Di tutti i Numi a me la Madre, di tutti i mortali
canta, o canora Musa, la figlia di Giove possente,
a cui piace il frastuono di cròtali e timpani, e l’eco
dei flauti cupa, e il rugghio di lupi e d’orrendi leoni,
e gli echeggianti monti, le valli coperte di boschi.
A te salute, e a tutte le Dive, con te, nel mio canto.
Anche le danzatrici etrusche, prima ancora dei romani usavano le nacchere.
A Tarquinia le nacchere pare siano state di casa: la prima testimonianza si trova nella Tomba della Leonessa, del 530-520 a. C. La storia della raffigurazione delle nacchere si intreccia subito con un’altra interpretazione. Poiché così raffigurate non potevano essere suonate c’era chi attribuiva la posizione delle dita che impugnavano i crotali a quella delle corna.
Non ci sono dubbi: o è sbagliata l’ipotesi delle nacchere, o è sbagliata l’ipotesi delle corna o il pittore non sapeva dipingere. Oppure c’è qualcosa che ci sfugge.
Ma assieme alle nacchere arrivano anche i balli, che vagamente ricordano gli antenati della tarantella e della pizzica tarantata: nella Tomba della Caccia e della Pesca i danzatori, intenti in un ballo rituale dionisiaco, hanno vicino suonatori di nacchere.
Gregorio Mariani nella seconda metà del 1800 fu chiamato a fare dei lucidi in rame della Tomba del Citaredo: un suonatore di doppio flauto, una danzatrice, un arpista, una suonatrice di nacchere ci raccontano la precisa composizione musicale di un gruppo nell’Etruria del V secolo.
Ma la storia continua: nella Tomba del Triclinio ancora sono effigiate danzatrici con crotali con abiti a fiori, così come nella Tomba del Gallo. Ancora una volta la modalità e la tipologia della danza ricordano l’attuale tarantella lenta, o tammurriata campana. E qualcuno ancora nei tempi moderni suonando le gnaccgere accenna movimenti di danza.
Carlino Penni alle gnacchere toscane
Col tempo e con i secoli la funzione delle nacchere cambia poco. All’uso rituale si associa quello già presente nell’antico Egitto: in Moldavia si fanno scoccare per tenere lontano gli spiriti maligni, curare le malattie e far divertire i bambini!
I viaggiatori si sono spostati e le nacchere con loro. Le migrazioni seguite alla caduta dell’impero romano hanno portato le nacchere nella vecchia Europa: i giullari, danzando, cantando e suonando le nacchere se ne vanno in giro per borghi e paesi.
Anche la Bibbia di Carlo il Calvo rappresenta suonatori di nacchere e qualche secolo dopo il Salterio inglese nuovamente ripropone suonatori di questi strumenti.
Le nacchere furono anche uno strumento legato ai lebbrosi che suonandole avvisavano del loro passaggio. L’osso, piuttosto macabro, aiutava forse a costituire un promemoria di questa terribile malattia.
Dal vecchio mondo sbarcano nel nuovo: irlandesi e britannici le portano secoloro alla conquista del West!
Dom Flemons della Carolina Chocolate Drops mostra come si suonano le gnacchere di là dall’oceano!
Stati Uniti d’America. Siamo fra il 1700 e il 1800: le bones paiono essere uno fra gli strumenti più usati dagli schiavi di colore. Ogni piantagione aveva la sua band di talento che cantava, danzava e accompagnava con banjo e bones. Esse erano fatte con costoletto di pecora o animale simile.
Il loro arrivo, come abbiamo già detto si lega alla presenza di immigrati dal vecchio continente che una volta sbarcati si spostano in zone dell’America piuttosto isolate e remote, lontane da centri urbani. Sono le colline e le montagne della Virginia, del North Carolina, del Vermont e New Hampshire i luoghi dove principalmente si fermano. Dopo la rivoluzione americana si spostarono anche in Kentucky e in Tennesse. La musica che si erano portati dietro era quella della tradizione popolare orale.
E’ molto probabile che gli schiavi abbiano imparato dai bianchi a suonare le bones.
Le modalità di suonata fra vecchio e nuovo mondo però paiono diversi: in Gran Bretagna e in Irlanda si suonano con una sola mano, stando seduti. Qui le nacchere fanno parte del ritmo della danza. In America invece sono veri e propri performer i suonatori di bones.
I suonatori di “gnacchere” attualmente attivi in Toscana sono:
Corrado Barontini (Maremma)
Marco Betti (Valdarno Superiore)
Alessandro Casini (Firenze)
Filippo Marranci (Val di Sieve)
Enrico Rustici (Maremma)
Riccardo Tonini (Firenze)
Anna Tosi (Val di Sieve)
Marco Vergari (Maremma)
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