Partiamo da qui per dire – per estensione - che ogni bottega è un cuore che batte nel corpo materno del suo paese. E quando quel cuore cessa di pulsare, può il corpo materno continuare a godere di buona salute? Forse la tecnologia risolverà anche questo problema? Forse lo farà proprio lei, che dando a tutti la facilità di connettersi con il mondo non ha fatto che frenare le connessioni da uscio a uscio, da finestra a finestra, imprigionando i contatti umani entro i limiti di uno schermo, e trasformando l’abbraccio e la stretta di mano in un touch o in un “semplice click”?
Domande che resteranno senza risposta. O meglio che la risposta l’hanno già data.
Cosa succede ad un paese quando tira giù il bandone l’ultima bottega? Io posso dire solo cosa ho visto accadere nel mio paese, che era nientemeno che “la culla del bruscello”, ultimo baluardo di una tradizione che altrove in Casentino era già scomparsa. E quello che ho visto accadere alla “mia” bottega, nel senso che gli ultimi gestori siamo stati proprio noi, la mia famiglia.
La storia di quei 12 anni che accompagnarono mia mamma all’età pensionabile inizia nel 1985, dal restauro di un vecchio fienile, un edificio su due livelli che a pianterreno diventò la “bottega” vera e propria - un emporio con generi alimentari e beni di ogni tipo, oltre al posto telefonico pubblico e una toilette - e al piano di sopra un’osteria, con un bancone di marmo, i liquori sugli scaffali, la mescita, i mazzi di carte sui tavolini. Niente macchina da caffè, come si usava appunto nelle osterie.
Quel locale con così poche pretese in un paese di meno di 100 anime, tuttavia, inaugurò col botto: la bottega di Franca a Casalino ebbe un ospite illustre e soprattutto un vero estimatore delle osterie: il cantautore Francesco Guccini con la sua band, che aveva suonato a Pratovecchio la sera del 13 luglio 1985. Fu una serata memorabile… Sarebbero poi venuti altri ospiti famosi, come Riccarco Marasco, Sara Simeoni, gente per varie ragioni interessata a conoscere luoghi e tradizioni ormai al tramonto. Nonostante il paesello vivese già allora soprattutto d’estate (era già chiusa la scuola, non c’erano altre attività commerciali né uffici pubblici, diradava le corse la corriera per Pratovecchio - Stia..), la bottega aveva una clientela tutto l’anno, fatta di famiglie locali - prima che la Grande Distribuzione Organizzata fagocitasse tutto - di gruppi e comitive che venivano a cenare coi tortelli di patate o a fare merenda tra affettati, formaggi, vino, a cantare qualcosa fra una morra e una briscola. Perfino la nascente Fraternità di Romena, nata con pochissimi adepti e oggi cresciuta a dismisura, concludeva spesso i suoi primi corsi sui tavoli della bottega di Casalino, luogo di connessione con le comunità di questo angolo di Casentino.
Non era diversa la situazione nei paesi vicini: qualcuno più popoloso resisteva meglio, molti abbassavano la saracinesca senza trovare “eredi” disposti ad accollarsi le conseguenze del calo demografico, e i gravami di un fisco che ha sempre preferito essere forte coi deboli e debole, anzi lascivo, coi forti. Normative fiscali, regolamenti urbanistici, tutto contribuisce a mettere fuori norma (e non adeguabili) le vecchie botteghe di paese, e a spianare la strada alle cattedrali della fede consumistica, i supermercati.
Quando quel giorno arriva anche a Casalino è l’ultimo dell’anno 1997. Nel pieno dell’inverno, il paese quasi non se ne accorge. Gli anziani trovano il modo di arrangiarsi (nei paesini c’è sempre qualche vicino di casa a cui chiedere un favore, un passaggio, una commissione), i pochi giovani scendono comunque in paese ogni giorno per lavoro, quindi tanto vale. E poi, con chi te la prendi? Anzi, al supermercato la roba si paga meno!..
D’estate poi, quado la popolazione quadruplica, la voglia di stare insieme e l’aria fresca della sera suppliscono alla mancanza di un luogo fisico di ritrovo. Qualcuno rigira un paiolo con la polenta, affetta un prosciutto e una forma di cacio, leva l’olio dai fiaschi, e in fin dei conti un po’ di bisboccia si fa. C’è anche una bella sala parrocchiale, e spesso si va lì in gruppo per una cena, una veglia. Ancora oggi si fa, grazie a un manipolo di volontari che cerca di darsi da fare anche in tempo di pandemia, come si può quando si può e rinunciando quando si deve.
Non è proprio la stessa cosa.
Nessuno si rende conto infatti che quel momento, il Capodanno del ’98, è stato il primo colpo di vanga che ha tracciato il solco sempre più profondo fra una persona e l’altra, fra una famiglia e l’altra, fra Casalino e il resto del mondo. Se si esclude la Messa della domenica, non si esce più per fare la spesa o informarsi sulla salute degli ammalati, sulla percorribilità delle strade d’inverno, non ci si incontra più dopo il lavoro o dopo cena, si sono chetati i bruscellanti, e chi viene da fuori a Casalino sa che non può più fermarsi per una merenda, una birra o un gelato. Viene e riparte, oppure transita, da o per la foresta e le sue bellezze.
Eppure Casalino c’è ancora, sta lì, disteso come un vecchio addormentato, ma è come se non lo vedesse nessuno. Per carità, qualcuno si muove e qualcosa succede: nel 2001 la vecchia scuola, chiusa per 20 anni, riapre sotto forma di ostello della gioventù, grazie all’Ente Parco e a fondi europei. Funziona, per un po’, anche come centro di aggregazione. Ma è purtroppo un fuoco di paglia, e l’ultima vocazione di quel posto con quasi venti posti letto, è l’accoglienza a qualche gruppo di migranti, poi anche lì si spenge la luce. Fino a quando? E chi può dirlo? Ecco, queste domande qui sono proprio senza risposta. Perché un paese che non ha più una bottega non ha più un’anima. Senza cadere nella dietrologia, nel “si stava meglio quando si stava peggio” (fra l’altro la mia generazione non ha conosciuto altro che il benessere, bisogna chiedersi con onestà se scommettere sull’inurbazione dalle campagne non sia stata una grossa bischerata. Anche perché – e lo dico con tristezza – oggi, quasi un quarto di secolo dopo la chiusura dell’ultima bottega a Casalino, vedo succedere la stessa cosa nei centri più grandi, che diventano a loro volta oggi sconvenienti. Quanti cartelli “Vendesi” e “Affittasi” ci sono oggi nei fondi artigianali e commerciali su cui si fondava il tessuto sociale di Pratovecchio, di Stia, di Poppi, di Bibbiena. Il grido di aiuto degli ultimi bottegai di Casalino, Tartiglia, Gualdo, non fu ascoltato per convenienza e perché così girava il mondo, là ci portava il progresso. Oggi quella stessa fame di comodità e risparmio svuota i paesi più importanti, rende quasi inutile il ruolo di commercianti e artigiani ma anche di amministratori locali, associazioni, parrocchie ecc.
Si parla, per contro, di un piccolo ma significativo “risveglio demografico” di certi luoghi. Anche a Casalino c’è stato qualche nuovo arrivo, derivante dall’immigrazione o da qualche giovane famiglia che ha preferito attestarsi a queste altitudini magari ristrutturando le vecchie case. È un segnale senza dubbio positivo. Ma ben difficilmente basterà per veder riaccendersi le luci dell’ultima bottega. Alla quale non possiamo che dedicare due ottave di saluto.
Un tempo accompagnavi il tuo paese
Nei suoi momenti belli e in quelli brutti
In un locale senza gran pretese
Ma dove prima o poi venivan tutti
Poi degli incassi furon più le spese
E come una barchetta in mezzo ai flutti
Inevitabilmente fu naufragio
E per tutto il paese fu un disagio
Come di pandemia farà il contagio
In casa si rinchiuse chicchessia
E dal telecomando, adagio adagio,
del cellulare si prese la via
chi non l’avea pareva un can randagio
restò solo anche lui, e così sia
con i social infine venne il peggio
ché del contatto umano fu il saccheggio
Dicci la tua!
Ottave, pensieri e foto in libertà.